Due album che non avrebbero comunque mai cambiato le sorti di un rock che allora viaggiava troppo veloce per attendere la maturazione di un ragazzotto dalla voce sgraziata, ma ugualmente consigliatissimi anche oggi. Il mondo li ha scoperti nel 2005, quando Uncut osannò le ristampe in cd presentandoli come "l'anello mancante tra Nick Drake, Ray Davies e Bob Dylan". Il rischio che il nuovo mondo indie-rock si fosse innamorato più della barba decisamente fashion sfoggiata nella copertina del secondo capitolo che di quelle incerte ma toccanti canzoni era alto, ma in verità la riscoperta è stata opportuna e doverosa. La paura però era che l'insistenza di Jeff Tweedy perché l'arrugginito Bill tornasse in studio fosse più un atto di devozione che una vera necessità, visto che il materiale inedito inevitabilmente pubblicato nel frattempo non aveva dato l'idea che poi ci potesse essere molto di più. Invece sarà che Life Is People nasce ben pensato e confezionato nella veste sonora pensata da Joshua Henry, ma alla fine questo ritorno convince decisamente di più di altre analoghe riesumazioni sentite in questi anni (Vashti Bunyan o Gary Higgins ad esempio). Niente di speciale in verità: solo un uomo che sorprendentemente dimostra un gran mestiere e una capacità di rendere meravigliosa un voce secca e poco espressiva, quasi che avesse passato gli ultimi decenni a calcare le scene e non occupato in chissà quale lavoro per campare. Tweedy viene a trovarlo e gli lascia in eredità una Jesus, etc, che lui stravolge al piano e rende pienamente sua come solo le grandi personalità sanno fare. Ma sono le sue composizioni a colpire, profondamente tragiche (There Is A Valley o The Healing Day), ma anche piene di una gran serenità (la maestosa Cosmic Concerto), quasi a voler dirci che poi l'assenza dal music-business è vissuta come una condanna più da noi fans che da lui che l'ha subita con gran compostezza. Brani straordinari come This World ricordano molto la collaborazione tra Roky Erickson e gli Okkervil River, mentre le intricate orchestrazioni di City Of Dreams testimoniano la gran modernità della sua musica. Non tutto è perfetto (la faticosa Big Painter, posta in seconda posizione, rompe subito un po' la tensione ad esempio), e soprattutto spesso non si va poi molto oltre la registrazione casalinga fatta con vecchi amici (il chitarrista Ray Russell e il batterista Alan Rushton erano con lui anche nel 1971), se non fosse per quella strana bonus track (Home Was The Place) che lo vede perfettamente a suo agio in un sofisticato arrangiamento quasi da lounge-music che potrebbe anche far intravedere un diverso sviluppo della sua carriera. Che a questo punto ci auguriamo davvero possa ripartire da qui con più regolarità. |
martedì 6 novembre 2012
BILL FAY - Life is People
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