mercoledì 13 febbraio 2013

BEN HARPER & CHARLIE MUSSELWHITE


Ben Harper with Charlie MusselwhiteGet Up!
[Stax/ Concord 
2013]
www.benharper.com
www.charliemusselwhite.com

 File Under: back to the roots 

di Nicola Gervasini (30/01/2013)

Tra i nomi più in auge negli ultimi quindici anni in termini di musica delle radici, quello di Ben Harper è sicuramente uno dei più discussi. Grazie alla notorietà acquisita ai tempi del vendutissimo Diamonds On The Inside, la sua arte ha collezionato sì miriadi di fans improvvisati (che sono gli unici che possono "fare mercato" oggigiorno), ma ha richiamato anche l'attenzione di tanti accaniti detrattori. E' il destino inevitabile di chi ce l'ha fatta ad uscire da una nicchia senza aver poi particolari meriti né demeriti, se non magari quello di essere arrivato molto prima di altri ad anticipare un modo di fare roots-music che più che agli anni 90 appartiene al duemila. Chi lo tratta con sufficienza si fa forte di una discografia che, dopo il buon livello tenuto per i primi cinque titoli, si è barcamenata con prove non sempre degne del suo buon nome.

Fa riflettere soprattutto che l'unico album dei suoi anni zero ad aver convinto tutti sia stata la collaborazione con i Blind Boys Of Alabama nel gospel-oriented There Will Be a Light del 2004 (vale a dire il suo disco teoricamente più classico e prevedibile), mentre quando il nostro ha tentato vie più rivolte al nuovo indie-rock, i risultati hanno raggiunto anche il disastroso (Give Till It's Gone ). Lo conferma anche Get Up!, collaborazione a lungo cercata con l'armonicista Charlie Musselwhite, arrivata a confermare che forse Harper dovrebbe arrendersi all'evidenza di essere un ottimo performer di gospel-blues e non certo un innovatore o un grande autore rock. Qui non siamo ai livelli d'intensità di There Will Be a light, ma appare subito chiaro che questi dieci brani ristabiliscono un contatto più umano tra la sua musica e le nostre orecchie, grazie soprattutto alla scelta di non voler strafare e di seguire giri blues classici (I'm In I'm Out And I'm Gone) e spaziare dal blues più nero (la lunga e strascicata title-track) a soluzioni più "bianche", quasi da "brit-blues" alla John Mayall (She Got Kick).

La bravura di Harper in questo caso sta tutta nel far risaltare una voce non certo potente e da vero bluesman, mentre Musselwhite come al solito conferma di essere uno dei pochi armonicisti blues ad aver capito quanto "less is better" con uno strumento che, se abusato, può stancare facilmente. Nell'economia del buon risultato manca forse il brano killer, ma nel complesso il mix di episodi rilassati (Don't Look TwiceYou Found Another Lover) alternati a veementi sfuriate (l'incattivita I Don't Believe A Word You Say e la rauca Blood Side Out) piace non poco, soprattutto se condito con qualche variazione gospel (We Can't End This Way) che non guasta mai. Normalmente se un artista si rifugia in un disco "di genere" non è mai un buon segno di vitalità artistica, ma nel caso di Harper potremmo fare un'eccezione e consigliare un più frequente "back to the roots" .

   

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