LOCAL
NATIVES
HUMMINGBIRD
Frenchkiss
***
Autori di uno di quegli smash-first-records che
hanno ravvivato la scena indie-folk nel 2009 (Gorilla Manor), i Local
Natives sono un quartetto di Salt Lake City formato da Taylor Rice, Kelcey
Ayer, Ryan Hahn e Matt Frazier. Anticipato dal singolo Breakers, dopo ben quattro anni di travagliata gestazione arriva
finalmente il secondo album, semplicemente intitolato Hummingbird. Fin
dall’iniziale You And I (ma ancor più
evidente nella successiva Heavy Feat)
appare l’intenzione di spostare il sound della band da il psych-folk
dell’esordio che ha portato complimenti ma anche qualche buona vendita (sono
comunque entrati nella billboard americana, anche se solo al centosessantesimo
posto), verso un suono più sofisticato, dove stavolta sono le tastiere a
prendere spesso il sopravvento. Fate conto una versione meno radiofonica dei
Coldplay odierni con qualche influenza Fleet Foxes o dei Grizzly Bear. Forse
solo la logica conseguenza di aver affidato la produzione ad Aaron Dessner dei National, l’uomo
giusto per confezionare suoni perfetti per accontentare un pubblico giovane ma
esigente e al tempo stesso avere possibilità di airplay nelle radio americane.
Voce eterea, grande attenzione alle melodie, abile intrecci tra tastiere e
chitarre, basi ritmiche che cercano spesso una via alternativa (il singolo Breakers appare decisamente elaborato in
tal senso), Hummingbird è un disco sognante
e per sognatori, dove c’è spazio per momenti di sofferta riflessione (Black Spot, Three Months) ma anche per lo
spensierato svago di un motivo da fischiettare (Mt Washington) o per cavalcate evocative che ricordano anche gli
Shearwater (Wooly Mammoth). Manca
forse il brano che rompe il ritmo, ma è elemento comune del genere quello di non
spaziare troppo tra i generi in nome di un’identità stilistica ben precisa, e
la produzione di Dessner a volte esagera con qualche svolazzo estetico di
troppo, ma è innegabile che i Local Natives si confermano come una delle realtà
più vive e in prospettiva più promettenti del mondo sotterraneo della West
Coast. Magari ripartendo dal fondo, da quella Bewday che chiude il disco lasciando intravedere con i suoi cambi
di ritmo nuovi intriganti sviluppi.
Nicola
Gervasini
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