No Way Back
(Miami & the Groovers, 2013)
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Promise-rock
Il bello di scrivere una recensione di un disco dei Miami & The Groovers è che sai già
che sarà inutile. Esiste infatti una cosa che si chiama quello spirito lì che impedisce di esaminare con razionalità e
spirito critico un certo tipo di musica. O ancora meglio potremmo dire un certo
tipo di “vivere” un certo tipo di musica. Quello
spirito lì se l’è inventato Bruce Springsteen tanto tempo fa. Non dal nulla
di certo, prima di lui si possono trovare miriadi di precursori (soprattutto in
ambito soul-music), ma lui ha intrapreso un processo durato trent’anni almeno,
in cui l’uomo che sognava terre promesse ha prima realizzato l’impossibilità di
trovarne veramente, si è poi rinchiuso nella sfera privata per cercare una
consolazione, per poi decidere di chiudere la propria carriera in torrenziali
party-tour fatti di bagni di folla, cori festanti e partecipazione collettiva.
Chi frequenta queste pagine, ma anche solo è attento alla scena american-rock nostrana,
sa già chi sono Lorenzo Semprini e i
suoi Groovers: come ben dice Edward
Abbiati dei Lowlands in una delle interviste che impreziosiscono il DVD di
questa lussuosa confezione, sono la party-band per eccellenza, il perfetto link
tra il New Jersey che per anni i fans springsteeniani hanno sognato e
immaginato fin dai tempi dei primi pionieri di casa nostra (Rocking Chairs,
Priviero,ecc…), la band che più che imparare la sua musica (che, a ben guardare,
guarda più spesso al rock stradaiolo anni 80 alla Del Fuegos e Replacements che
allo stesso Springsteen), ha incamerato alla perfezione lo spirito dei suoi
concerti. Quello spirito lì appunto,
quello che la band romagnola ha voluto cercare a tutti i costi in due serate del
marzo 2013 chiamando a raccolta in quel di Cesenatico il proprio pubblico,
conquistato in dieci anni di concerti in bettole, pub e qualche grande
occasione come “quella volta che suonarono prima e con Southside Johnny”. Il risultato è No Way Back, un Cd con
Dvd annesso che è una neanche troppo celata occasione di auto-celebrazione.
Poche note di copertina, che però spendono i concetti di “eroe” ,“battaglia”,”miracolo”,
“passione”, “sorrisi” e “amore”, insomma, il bagaglio base di tutta la nuova epica
springsteeniana. Inutile fare ulteriori commenti: se siete sintonizzati sulla
stessa lunghezza d’onda e passate varie notti all’anno nel pit sperando di
poter essere quello che Bruce invita sul palco ad ogni concerto, allora No Way Back è perfetto. E non solo perché
cattura alla perfezione quello spirito lì,
ma anche perché, come già avevamo notato parlando dell’album in studio più
recente (Good Things), la formazione
attuale dei Groovers (Beppe Ardito, Alessio Raffaelli, Marco Ferri e Luca
Angelici) ha raggiunto un affiatamento e una pienezza di suono da veri
professionisti, e questo lì salva dal pericolo che quello spirito lì si trasformi solo in un ridicolo e grottesco scimmiottamento
di miti d’oltreoceano. I classici della band ci sono tutti (Tears Are Falling Down, Broken Souls, Rock
And Roll Night), da vedere e sentire a seconda del supporto scelto (il DVD
è comunque ottimamente prodotto), come anche le cover-omaggio (Redemption Song, Rockin’in a Free World,
White Riot, una sorprendente The
Great Song of Indifference di Geldof , una Waiting For Me dell’amico Joe D’Urso), o l’intervento di vari amici
raccolti sulla strada (Daniele Tenca, Riccardo Maffoni, Renato Tammi). E
ovviamente il calore e la partecipazione del pubblico, sudati, soddisfatti e
sorridenti come Semprini desiderava vederli al termine delle due serate. E
soprattutto per nulla vogliosi di farsi troppe domande sul senso che tutto ciò
può avere nel 2013, in un epoca in cui questo rock ormai non lo ascoltano più nemmeno
gli americani che ce l’hanno nel sangue. Quelle domande dovremmo porcele noi su
queste pagine, ma le risposte le trovate nelle altre recensioni, dove altra
musica e altre filosofie più al passo con i tempi scorrono tra le righe, ma
spesso non la stessa passione e quel sano ottimismo rock che gli anni duemila
hanno fatto a pezzi senza pietà.
Nicola Gervasini
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