The Strypes
Evitate di leggere la loro biografia e lasciate parlare solo
la musica: gli Strypes non saranno
il futuro del rock and roll, ma riescono benissimo ad incarnarne la continua
attualità del suo passato. I motivi per storcere il naso davanti all’entusiasmo
con cui sono stati accolti ci sono, e sono tutti plausibilissimi: da una parte la
giovane età (tra i 15-17 anni) e la conseguente totale assenza di gavetta, dall’altra
la completa e voluta non-originalità di Snapshot (Virgin). Il loro esordio
infatti pesca a piene mani nella Londra beat della prima metà degli anni 60,
quando band come Beatles, Rolling Stones o Kinks erano capaci di strizzare
l’occhio alle classifiche senza perdere il contatto dai garage e dai pub in cui
erano nati. Eppure per questi quattro adolescenti, provenienti da un paesello
di poco più di tremila anime perduto nell’Irlanda del Nord, Londra è ancora un
mito lontano da sognare e imitare. Snapshot è puro rock-retrò, ma fin
dall’inizio appare convinto, urgente, sanguigno, deciso. Il gusto vintage degli
Strypes piace perché suona sincero, anche quando ti chiedi chi gli abbia
consigliato di rileggere classici del blues come You Can't Judge a Book by the Cover o Rollin' and Tumblin’ o di ripescare quel classico del pub-rock
urbano che è Heart Of The City di
Nick Lowe. E poi ci sono i loro brani, fedeli e ossequianti di una tradizione
che ha cinquant’anni, e li dimostra con orgoglio.
Nicola Gervasini
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