The Fleshtones Wheel of Talent [Yep Roc/ Audioglobe 2014] www.yeproc.com/artists/the-fleshtones File Under: fun fun fun di Nicola Gervasini (27/01/2014) |
The road goes on forever, and the party never end cantava anni fa Robert Earl Keen (o Joe Ely, o gli Highwaymen, a seconda di quale versione possedete). E adesso cosa c'entra Keen con i Fleshtones? Direte voi. Nulla, ma la frase mi è rimbombata in testa durante i 33 minuti di ascolto del nuovo album Wheel Of Talent. Perché forse non ve ne sarete accorti, ma una delle band più scoppiettanti degli anni ottanta, una delle poche che riusciva ad essere talmente underground da risultare completamente ignorata anche nei propri anni d'oro, non ha mai smesso di pubblicare dischi e calcare i palchi delle più scalcagnate bettole del globo (anche in Italia si ricorda qualche loro passaggio in anni recenti). Per loro infatti la festa non è mai finita. E non stiamo parlando di quella festa che è la vita nonostante tutto come la intendeva il Keen (contando che il protagonista della sua canzone alla fine moriva su una sedia elettrica), ma della festa vera, quella che si fa nelle cantine tra fiumi di birra, ragazzi stonati d'alcool e fanciulle urlanti (e non vado oltre con i particolari).
Perché Peter Zaremba e soci sono un po' come Hiroo Onoda, quel giapponese che ha passato 30 anni nella giungla a combattere perché nessuno aveva pensato ad avvertirlo che la guerra era finita. Loro è dal 1976 che fanno party-music sixty-style incuranti di quello che gli accade intorno. Probabile che ogni tanto abbiano messo anche fuori la testa, ma è certo che l'abbiano ritirata dicendo "passami un'altra birra va…". Non stiamo poi a sottilizzare sul fatto che cantare oggi un brano che s'intitola Remember The Ramones ha la stessa portata di modernità di una reunion dei Sex Pistols: puro revival, mera rivisitazione di un'emozione già vissuta. Si dice di non rifare mai una vacanza se è stata particolarmente memorabile, pena un'inevitabile delusione, ma i Fleshtones se ne fregano. Forse non saranno più quelli di trent'anni fa, ma - perdonate se sbraco nell'italiano - cazzo se pompano! 13 brani da due minuti e poco più (e a volte anche poco meno, come nella micidiale What You're Talking About), e un campionario di chitarre fuzz, coretti, fiati, violini, Farfisa sparati al cielo, urla sconsiderate e qualche lezione ancora da impartire (trovate la differenza tra Roofarama e un qualsiasi brano del Black Joe Lewis più recente).
Il disco è vario e anche ben scritto (How To Say Goodbye è pure una bella ballata roots), ci si diverte parecchio (Veo La Luz sa proprio di presa per il culo) e alla fine si è già pronti per un altro giro. "Ci siamo divertiti un sacco, e per un fan del rock and roll questo è un sogno che si avvera. D'altronde, chi altri può suonare questa musica se non noi?" ha dichiarato Zaremba presentando il disco. Già, chi altri? Gli Strypes potrebbero essere la risposta. Se solo avranno il coraggio e l'umiltà di prendersi Wheel Of Talent e prendere appunti in religioso silenzio.
Perché Peter Zaremba e soci sono un po' come Hiroo Onoda, quel giapponese che ha passato 30 anni nella giungla a combattere perché nessuno aveva pensato ad avvertirlo che la guerra era finita. Loro è dal 1976 che fanno party-music sixty-style incuranti di quello che gli accade intorno. Probabile che ogni tanto abbiano messo anche fuori la testa, ma è certo che l'abbiano ritirata dicendo "passami un'altra birra va…". Non stiamo poi a sottilizzare sul fatto che cantare oggi un brano che s'intitola Remember The Ramones ha la stessa portata di modernità di una reunion dei Sex Pistols: puro revival, mera rivisitazione di un'emozione già vissuta. Si dice di non rifare mai una vacanza se è stata particolarmente memorabile, pena un'inevitabile delusione, ma i Fleshtones se ne fregano. Forse non saranno più quelli di trent'anni fa, ma - perdonate se sbraco nell'italiano - cazzo se pompano! 13 brani da due minuti e poco più (e a volte anche poco meno, come nella micidiale What You're Talking About), e un campionario di chitarre fuzz, coretti, fiati, violini, Farfisa sparati al cielo, urla sconsiderate e qualche lezione ancora da impartire (trovate la differenza tra Roofarama e un qualsiasi brano del Black Joe Lewis più recente).
Il disco è vario e anche ben scritto (How To Say Goodbye è pure una bella ballata roots), ci si diverte parecchio (Veo La Luz sa proprio di presa per il culo) e alla fine si è già pronti per un altro giro. "Ci siamo divertiti un sacco, e per un fan del rock and roll questo è un sogno che si avvera. D'altronde, chi altri può suonare questa musica se non noi?" ha dichiarato Zaremba presentando il disco. Già, chi altri? Gli Strypes potrebbero essere la risposta. Se solo avranno il coraggio e l'umiltà di prendersi Wheel Of Talent e prendere appunti in religioso silenzio.
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