sabato 3 maggio 2014

THE BASEBALL PROJECT


 The Baseball Project3rd 
[Yep Roc/ Audioglobe 
2014]
www.thebaseballproject.net

 File Under: Oh no! Not again

di Nicola Gervasini (31/03/2014)
"Il gioco è bello se dura poco" ci hanno insegnato da bambini. E noi a non capire perché. Se è bello, perché non approfittarne? Poi più avanti ci hanno anche insegnato che "Squadra che vince, non si cambia", e la contraddizione con il primo precetto ci sta tutta. E che fare dunque quando un progetto musicale, nato per caso in una serata in cui si parlava di miti del baseball (esattamente quello che succede in un qualsiasi bar italiano per il calcio), finisce per diventare uno dei pochi avvenimenti che hanno ravvivato il mondo del rock sotterraneo americano anche in termini di vendite? Steve Wynn era stato chiaro già ai tempi del Volume 1: in vita sua non aveva mai venduto tanto. E visto che i suoi dischi ormai vengono ignorati (e, dopo Static Transmission, anche un po' a ragione…), e visto che nessuno gli rinfaccia se in questo periodo batte sul tasto della nostalgia con le reunion dei Dream Syndicate (per non dire che batte cassa...), ecco arrivare il Volume due nel 2011, e ora, sempre come ci hanno insegato da piccoli, "Non c'è due senza tre".

I compagni di avventura non hanno avuto nulla in contrario: Linda Pitmon perché segue il compagno ovunque (e dove altro potrebbe andare?), Scott McCaughey perché segue Peter Buck ovunque (un tempo nei REM, poi nei Venus 3 di Robyn Hitchcock), Peter Buck perché, con il compare Mike Mills (ormai integrato a tempo pieno nella formazione), non si è ancora organizzato bene la vita dopo lo scioglimento dei REM. Ironie a parte, il problema di 3rd non è tanto che l'idea ha il fiato corto: noi magari siamo fuori dal mondo del baseball e non possiamo apprezzare pienamente, ma di buone storie da raccontare su uno sport ce ne saranno sempre. E tra l'altro, a ben sentire, qui ci sono alcuni dei migliori episodi della saga (la coinvolgente Hola America!, la remmiana Monument Park, la folkish Larry Yount o ancheThey Don't Know Henry). Il problema è che la massima di cui sopra - "Il gioco è bello se dura poco" - avrebbero dovuto tenerla a mente nella scelta della scaletta, perché diciotto brani per sessantadue minuti paiono effettivamente troppo.

Anche perché, sottolineiamo noi, le soluzioni musicali si ripetono spesso (quanti secondi ci hanno messo ad arrangiare e registrare un brano paurosamente ovvio come To The Veteran's Committee? Pochi, davvero pochi), i riempitivi sono tanti (a partire dall'introduzione di Stats, che proprio non si comprende), e i brani anche bruttarelli ogni tanto affiorano (Box Scores). Aggiungiamoci anche il brutto obbligo di dare spazio a tutti con la voce. Loro si divertiranno anche, e il conto in banca respira, ma se il primo album resta un momento importante della loro carriera, il nuovo volume ha lo stesso sapore dei sequel di Rocky e Rambo di un tempo: puro entertainment.

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