KEN STRINGFELLOW
I NEVER SAID
I’D MAKE IT EASY
Lojinx/Planet
***1/2
Noto ai più come uno dei session-man più utilizzati
dai REM negli anni 2000, ma in verità uomo un po’ ovunque del mondo power-pop, Ken Stringfellow non ha mai dato troppo
peso alla sua carriera solista. I Never
Said I’d Make It Easy, titolo quanto mai esplicativo sul perché pubblichi
poco a suo nome, è una raccolta che capitalizza i riconoscimenti avuti come
membro dei Posies, dei Minus 5 o dei riformati Big Star (per dire solo alcune
delle band in cui ha militato), riunendo i sedici brani migliori della sua
epopea solista. Dal 1997 ad oggi Ken ha pubblicato quattro album (This Sounds Like Goodbye del 1997, Touched del 2001, Soft Commands nel 2004 e Danzig
in the Moonlight nel 2012, quest’ultimo però non considerato per compilare
questa raccolta), non contando anche gli EP (da cui qui vengono recuperati
comunque due brani da Privet Sides
del 2003, composto a due mani con Jon Auer). Dischi sempre molto piacevoli, ma
persi nel limbo di un mercato discografico ormai autogestito. Per questo ben
venga questo lungo riassunto, perché la “fine
art of making pop songs” qui trova un rappresentante di primo livello. I
REM , e ancor prima Alex Chilton e i Big Star, restano il modello di
riferimento di jingle-jangle songs
come Down Like Me, Finding Yourself Alone
o Reveal Love, il tutto condito dalla
sua vocalità leggera, a metà tra un Marshall Crenshaw più ispirato e un Freedy
Johnston degli anni d’oro. Pub rock di vecchio stampo, ma anche qualche
concessione alla modernità con la decisamente brit-pop Airscape (siamo dalle parti dei Radiohead già infatuati con
l’elettronica), e momenti più disturbati come le schitarrate di Don’t Break The Silence che viaggiano dalle
parti del compianto Elliott Smith. Il materiale è tutto già edito, tranne la
cover di Kids Don’t Follow, un brano
dei primissimi Replacements (era sull’EP Stink
del 1982). Tra momenti rilassati (la psycho-folk Ask Me No Questions), azzeccate orchestrazioni (Any Love) e piano-ballads (Known Diamond), la compilation scorre
senza intoppi e riesce a non annoiare nonostante la sua necessaria lunghezza
(65 minuti). Occasione buona per riscoprire canzoni ignorate dai più, e magari per
riaddestrarsi in altre discografie, Posies in primis, dove Stringfellow ha
lasciato segni anche più importanti.
Nicola Gervasini
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