Se la musica americana ha avuto
una certa vitalità anche negli anni zero, molto lo si deve all’ex Whiskeytown Ryan Adams e alla sua disordinata (ma
spesso altissima) produzione. Per contro la sua assenza (o perlomeno quella di
un degno successore) potrebbe essere una delle cause del momento di stanca
creativa del genere. Adams in verità non è mai scomparso, solamente ora le cose
serie le ragiona con più calma. Ryan Adams (Pax-Am) ha il non–titolo
tipico delle opere prime, un vezzo che spesso significa voglia di ripartire da
zero, tre anni dopo l’apprezzabile ma involuto Ashes & Fire. Non sarà certo l’album che riaprirà una stagione
di seguaci e imitatori, ma fin dall’apertura di Gimme Something Good si respira una sana aria da perfetto
country-rock radiofonico. Adams non ha perso la capacità di emozionare con la
voce e con la penna, ma qui ribadisce con forza la recente tendenza a cercare
le facili vie del mainstream già evidenziate da Cardinology del 2007 (lui
stesso cita il suo quasi omonimo Bryan Adams come ispirazione del momento). E
così ritrova sia le sue classiche dolenti ballate (Wrecking Ball), sia l’epica del rock americano di marca
springsteeniana (Shadows e Tired Of Giving Up), per assemblare un
divertente quanto scontato car-record
che segna la resa definitiva delle possibilità di evoluzione del genere. Ma se
mai si dovesse ripartire per nuovi lidi, lui avrà perlomeno già scaldato il
motore.
Nicola Gervasini
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