BLUES
BROTHERS BAND STORY
La
storia della Blues Brothers Band nasce ufficialmente nel 1978, ma per arrivarci
è forse bene fare un bel salto indietro. Partiamo dunque dal 1973, quando i
fratelli Donnie "Mr. Downchild" e Richard "Hock” Walsh
diventarono i primi bluesmen canadesi a piazzare un singolo nella Billboard USA.
Ci arrivarono come Downchild Blues Band, ma ad Ottawa, all’ Hibou Coffee House,
molti già da tempo parlavano di loro come dei “Blues Brothers”. Il fortunato 45
giri era Flip, Flop, Fly,
probabilmente il più noto esempio di jump-blues del Chicago-style scritto nel
1955 da Big Joe Turner, brano scelto anche da Elvis Presley per la sua prima
esibizione televisiva nel 1956.
L’Hibou
Coffee House invece era il ritrovo abituale della nuova scena blues canadese,
un pub dove musica e sketch comici si alternavano ogni sera senza sosta. Chiuse
nel 1975, improvvisamente, senza troppe spiegazioni, nel pieno del suo
successo. La fine della storia fu celebrata con un memorabile concerto in cui
Muddy Waters si fece accompagnare all’armonica dal giovane comico di casa. Noto
per la sua passione blues e per essere sempre disponibile a jam-sessions
(compresi alcuni concerti con la Downchild Blues Band), quella sera il
promettente attore Dan Akroyd, oltre alle sue fedeli armoniche, aveva in tasca
anche un biglietto per New York, dove lo attendeva un’audizione per un nuovo show
televisivo.
Qualche
mese dopo, a New York, John Belushi era solito passare le serate a bere all’ Holland
Tunnel Blues Bar, il locale che l’ormai collega Dan Akroyd aveva comprato
investendo la prima paga da star televisiva. Belushi non aveva mai ascoltato
blues, né tantomeno avrebbe mai pensato di poterlo cantare a livello professionale.
Imparò in fretta però, se è vero che, nella puntata del 17 gennaio 1976 del
Saturday Night Live Show, lui e Dan si presentarono al pubblico vestiti da api come
Howard Shore and his All-Bee Band,
omaggiando un noto compositore di colonne sonore canadese (suo anche lo score
del Signore degli Anelli). Il brano
scelto per quell’esordio fu ovviamente la notissima I’m A King Bee di Slim Harpo. Non erano ancora i veri Blues Brothers,
e Belushi pareva più concentrato ad essere una caricatura di un bluesman più
che uno vero, ma intanto se la sua ape era dotata di canoniche antenne, l’ape
Akroyd sfoggiava un paio di occhiali neri e un cappello dello stesso colore
alquanto familiari. Una tenuta di scena che Dan rubò a John Lee Hooker, che
l’abito da Man in Black lo usava da anni come marchio di fabbrica. Ma i
movimenti sul palco esibiti quella sera erano quelli dei fratelli Hawks, i miti
giovanili di Akroyd.
Più di
due anni dopo quell’isolato sketch, il 22 aprile del 1978 Akroyd e Belushi, con
il nuovo nome d’arte di Elwood e Jake Blues, esordiscono come Blues Brothers al
Saturday Night Live show suonando Hey Bartender
di Floyd Dixon. Belushi nel frattempo era diventato una vera star grazie ad Animal House, ma ormai era ossessionato
dal blues quanto il compare. Aveva visto la luce.
Il
numero ha successo, e così i due chiedono al pianista e direttore musicale
dello show Paul Shaffer di assemblare la migliore blues band sulla piazza per
creare un vero e proprio show indipendente dal programma televisivo. Nel 1978
si era in piena era disco-music, e blues e soul erano quanto mai fuori moda. La
band che Shaffer assemblò era infatti composta da session men al momento costretti
a sbarcare il lunario con altri generi, elemento che ispirò l’idea della band
da riunire intorno al blues che sarà poi il plot fondamentale del film. Il
chitarrista Steve Cropper e il bassista Donald “Duck” Dunn erano due stimatissimi
musicisti che avevano suonato nell’house band della Stax negli anni d’oro (li ritrovate
in un qualsiasi disco di Otis Redding) e avevano poi avuto un successo
personale con i Booker T. & the M.G.'s (la cui hit Green Onions verrà poi ripresa anche
negli show dei Blues Brothers). Matt “Guitar” Murphy era invece il musicista
più puramente blues del gruppo, per anni alle spalle di artisti come Memphis
Slim o Muddy Waters, per dirne solo alcuni, mentre Steve Jordan, dopo aver
suonato con Stevie Wonder, era il batterista della band del Saturday Night Live
Show, e ancora oggi uno dei session man più ricercati al mondo. Professionisti
di alto rango erano anche i fiati: Tom Scott era uno dei più influenti e importanti
sassofonisti della nuova ondata fusion degli anni settanta con i suoi LA
Express (noto anche come collaboratore di Joni Mitchell), mentre “Blue” Lou
Marini, Alan Rubin e Tom "Bones" Malone venivano, tra gli altri, dai
Blood, Sweat & Tears. Completava la line-up ovviamente lo stesso Paul Shaffer,
che verrà però sostituito da Murphy Dunne nel film per mere questioni
contrattuali.
Il 9 settembre del 1978
la Blues Brothers Band esordì dal vivo all’Universal Amphitheatre di Los
Angeles come spalla del comico Steve Martin, i cui dischi in quel periodo arrivarono a vendere anche due milioni
di copie. La registrazione della serata venne ripulita, quasi a farla sembrare
una session in studio, e pubblicata a novembre come primo album della band. Briefcase Full of Blues evidenziò tutte
le potenzialità del progetto: Belushi ormai non scimmiottava più nessuno e appariva
più che mai convinto del ruolo, mentre il repertorio pescava tra classici del soul
come Soul Man, brani della Downchild
Blues Band (ben tre, comprendendo Flip,
Flop, Fly) e qualche scoperta del momento ('B' Movie Box Car Blues di Delbert McClinton era un singolo uscito
giusto quell’anno). Il successo fu grande, ma importante fu il fatto che
nessuno prese l’avventura come uno scherzo di due comici in libera uscita. A
capodanno del 1978 la Blues Brothers Band aprirà un concerto dei Grateful Dead
al Winterland, ottenendo così anche la piena investitura del mondo rock.
Resta
però paradossale il fatto che le uniche tracce in studio mai registrate dal gruppo
siano quelle (immortali) della colonna sonora del film di John Landis del 1980.
Nello stesso anno uscirà anche Made in
America, piccolo saggio del tour estivo organizzato a supporto del film, ma
se la pellicola, la colonna sonora e il tour riscossero un successo senza
precedenti, Made in America, forse
confezionato un po’ troppo frettolosamente, vendette invece molto meno, forse a
riprova che senza il traino dell’immaginario creato da John Landis con il suo
film, la band era comunque destinata a sfaldarsi. Non ci fu tempo per valutare
le mosse successive però: quando nel marzo del 1982 Belushi morì, il progetto
Blues Brothers era congelato, anche se per nulla abbandonato. Akroyd lo terrà
caparbiamente in vita fino ai giorni nostri, registrando dischi e organizzando
tour con vari cambi di line-up, compreso ovviamente il sequel del film del 1998.
Ma la vera discografia dei Blues Brothers è tutta in quei tre dischi, dove
magari non si ha tempo di accorgersi della poca tenuta della voce di Belushi
(il che obbligava a set corti e con parecchie pause), ma dove due bianchi, quasi per gioco,
riuscirono davvero a vestirsi di nero.
Nessun commento:
Posta un commento