martedì 6 novembre 2018

THE JAMES HUNTER SIX

The James Hunter Six
Whatever It Takes
[
Daptone/ Goodfellas 
2018]
jameshuntermusic.com
 File Under: Tribute to Uncle Ray

di Nicola Gervasini (19/02/2018)
Il momento d'oro della carriera di James Hunter è passato e fu a metà anni 90. Dopo una carriera da pub con gli Howlin' Wilf & The Veejays, il soul-singer dell'Essex fu notato nel 1994 nientemeno da Sir Van Morrison, che per il tour a seguito di Too Long In Exile si diede ad una insolita attività di talent-scout imbarcando lui e il vocalist Brian Kennedy (fratello dello scomparso Bap degli Energy Orchard). Hunter appare così tra gli ospiti del live A Night In San Francisco e nel successivo album in studio Days Like This, e da lì nel 1996 il grande salto con un album abbastanza acclamato come ...Believe What I Say, sempre valorizzato dall'endorsement di Morrison in qualità di guest star.

Se nel 1996 offrire una proposta così retrò come un R&B di chiara marca Ray Charles, riprodotto fedelmente nei temi e nei suoni vintage, poteva sembrare una coraggiosa operazione, nel 2018 un disco del genere rappresenta solo una delle miriadi testimonianze del fatto che ormai stiamo parlando della musica classica degli anni 2000, dove non conta più creare ma riproporre. Va dato merito ad Hunter di aver evitato in questi 22 anni di cadere nella volgare imitazione da salotto buono alla Michael Bublè, giusto per citare uno che su Van Morrison ci ha pure costruito uno dei suoi più laccati successi, ma all'inizio degli anni dieci la sua carriera era comprensibilmente ad un punto morto. A rivitalizzare il personaggio è stata l'intelligente scelta di creare un combo (chiamato James Hunter Six secondo tradizione jazzistica) che potesse ritrovare almeno un poco dell'antica energia giovanile. Dopo un timido esordio per la Universal (Minute By Minute), il sestetto ha avuto la buona idea di passare con l'album Hold On! del 2016 alla Daptone, etichetta specializzata in produzioni vintage fatte con cuore e intelligenza.

E i risultati si vedono anche in questo Whatever It Takes, album davvero old-style per copertina, suoni, contenuti e anche durata (28 minuti scarsi). Minutaggio che se non altro permette di non annoiarsi e godersi appieno questa finestra sul passato, con un Hunter che forse ormai imita troppo Ray Charles con la voce, ma con una band più che in forma. Tutto già sentito comunque, dal giro di fiati di I Don't Wanna Be Without Youal giro jazz-salsa della title-track, da una I Got Eyes che sembra uno dei primi singoli filo-soul dello Spencer Davis Group al ballo da struscio di MM-hmm, dallo strumentale alla Booker T. & the M.G.'s di Blisters alla love-song da spiaggia di I Should've Spoke Up e così via, fino alla romantica chiusura di It Was Gonna Be You.

Cosa potrebbe spingervi dunque a comprare 28 minuti di musica già fatta più di 50 anni fa? La passione è l'unica risposta possibile, quella che alla Daptone sanno ancora metterci in prodotti senza alcun senso storico se non il puro intrattenimento di inguaribili nostalgici. E non è poco in fondo sapere che esiste ancora una etichetta in grado di curare i dettagli in un'epoca di produzioni casalinghe fatte alla buona.

Nessun commento:

BILL RYDER-JONES

  Bill Ryder-Jones Lechyd Da (Domino 2024) File Under:   Welsh Sound I Coral sono da più di vent’anni   una di quelle band che tutti...