mercoledì 23 gennaio 2019

LA MATEMATICA DEL PENDOLARE

LA MATEMATICA DEL PENDOLARE
Come tanti varesini, vivo da più di vent’anni una vita da pendolare, e sono quindi coinvolto in una relazione complicata con Trenord e i suoi servizi. Nella mia vita l’ho spesso tradita con l’Autostrada dei Laghi, ma il primo amore è stato per i vecchi treni delle Ferrovie Nord, quelli che avevano gli scaldini sotto il sedile di legno in grado di renderli incandescenti durante l’inverno, e si sa che il primo amore non si scorda mai. Così come amo da sempre il concetto di tempo di Trenord, che è inspiegabilmente diverso da quello che usano a Greenwich.
In Italia, è noto, i treni arrivano in orario solo sotto le dittature. In democrazia invece l’orario è una indicazione di massima, quasi un pourparler.
Se i controllori di Trenord fossero come i nostri politici, a fargli notare che il vostro treno del mattino porta cronicamente almeno dieci minuti di ritardo, probabilmente vi risponderebbero “sono stato frainteso, quando dicevo le 7.22, intendevo le 7.32”.
“Perché a quel punto non scrivere direttamente 7.32 sull’orario?” si chiedeva l’altro giorno una compagna di viaggio con logica tutta popolare, tanto che mi immaginavo sempre il nostro controllore/politico risponderle prontamente “e allora Italo?”. Sono pensieri un po’ bizzarri che vengono durante la quotidiana transumanza di lavoratori ormai abituati a considerare Milano come un unico grande ufficio, dove non fai più distinzione tra la tua scrivania e la banchina della metropolitana. Un monte ore incalcolabile perso in spostamenti faticosi e energie spese nel raggiungere luoghi impervi, resosi sempre più necessario dal fatto che la nostra provincia purtroppo ha perso la capacità di dare lavoro a tutti i suoi abitanti.
Chi fa il pendolare mette in conto ormai il ritardo congenito, come anche i treni che si fermano a lungo in aperta campagna senza spiegazioni, il caos causato da suicidi/investimenti (non avete idea di quanto frequenti purtroppo), o la temutissima sbarra del passaggio livello che si guasta, inconveniente in grado di bloccare una intera linea anche per un’ora.
Tutti buoni pretesti per le veementi proteste dei pendolari e delle loro associazioni, oltretutto scaldate ultimamente da dichiarazioni ben poco rassicuranti dei vertici Trenord su linee cancellate e treni trasformati in viaggi in autobus. Non entro nel merito e nel dettaglio sulla questione, ma è da rimarcare come nessuno dei nostri politici (e toccherebbe a loro, non a Trenord) abbia colto l’occasione per porsi l’unica domanda intelligente: ma è poi necessario che 800mila pendolari (questa pare sia la stima a Milano) debbano quotidianamente spostarsi per fare il proprio lavoro? Cioè, ribaltando la questione, se Trenord fa i suoi calcoli di costi e benefici lasciando la gente viaggiare in piedi e pressata in carrozze insufficienti, e se garantire un servizio efficiente e moderno per tutti costa davvero troppo, non è che forse la soluzione (in lungo periodo, per carità…) è altrove?
Se creare lavoro impiegatizio di alto livello nelle città di provincia pare ormai utopistico (ma vorrei sapere cosa ne pensano gli industriali varesini in merito), fare in modo che l’ufficio possa essere vicino a casa, se non proprio A CASA, non è utopia, visto che stiamo parlando di figure perlopiù impiegatizie, che passano la giornata su un pc collegato online. Si chiama Smart Working (o Lavoro Agile, per chi l’inglese non lo mastica e manco lo digerisce), e anche se pochi lo sanno, esiste anche una legge che lo promuove (Legge n. 81/2017) che, sebbene sia ancora molto incompleta e ancora a livello di linee guida (discussione interessante a riguardo, che per ora rimando), ha almeno aperto una strada (e qualche azienda ha già avviato interessanti sperimentazioni). Ed è proprio quella la strada su cui bisogna spendere energie (e, perché no, soldi anche, magari detassando i contratti che prevedono la formula dello Smart Working ad esempio) mentre si mantengono in vita le infrastrutture attuali con toppe, pezze, sangue e sudore. Non so dove lavoreremo in futuro, ma se fosse ancora su un treno, sia esso il Gallarate-Rho o la TAV per Lione, allora vorrà dire che abbiamo perso l’unico treno su cui investire, quello dell’innovazione.
Ora vi lascio che sta passando il controllore, ma forse a lui è meglio che non chieda cosa ne pensa dello Smart Working, non si sentirebbe adeguatamente coinvolto al momento (www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/)

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