Charles Bradley
Black Velvet
[Daptone/ Goodfellas 2018]
daptonerecords.com
File Under: black angel
di Nicola Gervasini (26/11/2018)
Quando più di un anno fa ci ha lasciato Charles Bradley, il primo pensiero che ho avuto è stato ricordarmi del prode John Campbell, bluesman che negli anni Novanta pubblicò un paio di devastanti album (One Believer e Howlin Mercy) dopo anni di gavetta, per morire proprio quando finalmente ce l'aveva fatta e sembrava che il meglio dovesse ancora venire. La storia di Bradley è simile e ve l'abbiamo già raccontata quando nel 2011 uscì il suo primo album No Time For Dreaming, ed è quella di anni passati sui palchi a imitare il proprio mito James Brown con lo stage name di "Black Velvet" prima che la Daptone lo scoprisse. Il soprannome fa giustamente da titolo a questa pubblicazione all'insegna del "quel che resta da dire su Charles Bradley", una doverosa raccolta di b-sides, inediti e brani scartati dalle sessions dei suoi tre album (Victim of Love del 2013 e Changes del 2016 gli altri due).
Quando si tratta di simili operazioni si è di solito abituati a sospendere un po' il giudizio critico a favore del sentimento e della curiosità per alcuni episodi, prime tra tutte le cover. La carriera di Bradley è nata in piena era New Soul, una scena che persino un po' inspiegabilmente ha riscosso molti favori anche in seno al pubblico più indirizzato a quella indie, e questo serve a spiegare alcune scelte come l'affrontare un brano come I'll Slip Away di Rodriguez, artista simbolo dell'"essenza indie". Ma soprattutto incuriosisce il confronto con nomi altisonanti come Nirvana (Stay Away) e Neil Young (Heart of Gold), brani che qualcuno di voi avrà già recuperato nelle riedizioni del suo primo album e che qui vengono riproposti. Bradley gioca secondo regole già dettate da altri, persino quella di virare a soul brani nati in altri mondi (penso a Solomon Burke, per dirne uno), ma anche questo Black Velvet in fondo testimonia come non fosse certo un vecchio soul-singer l'uomo giusto a mostrare nuove vie, ma che restasse comunque l'uomo giusto per ribadire quanto buone fossero ancora quelle vecchie.
In ogni caso, pur nell'evidenza di un lavoro assemblato raschiando il fondo di un magazzino purtroppo aperto da poco, troviamo alcuni brani autografi piacevoli come Can't Fight The Feelin', Luv Jones e soprattutto la bellissima ballata I Feel A Change, uno di quegli anthem soul pieni di lacrime e sudore che se fosse uscito nel 1964 sarebbe oggi un brano con almeno venti cover al suo attivo. A rimpolpare il menu arrivano poi la strumentale title-track, che si segnala più per la mancanza della sua voce che per la performance della Menahan Street Band, e una nuova versione di Victim Of Love, divenuta nel frattempo un suo piccolo classico.
La storia di Bradley finisce qui (anche se è ipotizzabile che qualcuno avrà registrato qualche sua esibizione live), non ha spostato gli equilibri della musica soul e probabilmente non lo avrebbe fatto mai, ma ci ha ridato il gusto di un suono che fa parte del nostro DNA, e che scorre ancora oggi nelle vene di tutta la musica rock e pop americana e mondiale. Grazie Charles.
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