di Nicola Gervasini
Il palermitano Gioele Valenti può essere considerato un veterano della cosiddetta scena neo-psichedelica (all'attivo esperienze con band come JuJu, Josefin Ohrn, Lay Llamas), ma ora con il nickname di Herself prova la carta solista con l'album Rigel Playground. Un disco molto interessante, realizzato in totale solitudine da polistrumentista, ma con un suono reso pieno dagli intrecci di tastiere e chitarre. Si parte con la voce quasi strozzata dell'iniziale Another Christian (pare quasi un J Mascis sotto effetto di sedativi), per proseguire con la splendida Bark, folk-song lisergica dove riescono probabilmente ad incontrarsi Pink Floyd, Elliott Smith, Sparklehorse e Bon Iver in un colpo solo. L'autunnale Crawling spinge più sui toni oscuri, mentre In The Wood trova una melodia da vero indie-folker alla Iron &Wine prima maniera. Il brano forte dell'album è il singolo The Beast Of Love, sia perché vede la collaborazione di Jonathan Donahue, cantante dei Mercury Rev (di cui Herself è stato artista-spalla nel recente tour), sia perché riesce a ipnotizzare l'ascoltatore per quasi sette minuti, meglio se vissuti guardando il video che cerca la Palermo più dark. Chiudono il giro blues di The Witness, ottimo intermezzo di energia, e il pessimismo folk di Treats ("When everything is clear, I see black"), marchio di fabbrica di un autore che ama i toni dimessi (se non proprio depressi) soprattutto nei testi, ma dimostra con questo album di avere in studio una statura da scena internazionale. E in questo caso la durata di 33 minuti permette di concentrarsi al meglio su sette brani che ci sentiamo di consigliare.
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