venerdì 17 settembre 2021

CORAL

 

Coral - Coral Island

2021, Modern Sky UK / Run On

 



È sempre bello poter raccontare come una band nata sui banchi di scuola raggiunga un certo successo, e addirittura diventi una realtà più che longeva. Gli inglesi Coral, ad esempio, sono assieme dal 1996, anche se l’esordio discografico è arrivato solo nel 2002 dopo una giusta gavetta di concerti locali, e sicuramente sono una delle realtà che meglio rappresenta la musica di questo ultimo ventennio, fatta di Smiths e R.E.M. come benzina presa dagli anni ottanta, miscelata con lo spleen timido e lo-fi dell’indie-rock moderno. Coral Island è il loro decimo album, un numero da band scafata che è riuscita, tra gli inevitabili alti e bassi della carriera, a non perdere seguito e consensi neppure dopo aver perso una delle colonne portanti (il chitarrista Bill Ryder-Jones, degnamente sostituito da Paul Molloy), o neppure quando, dopo una pausa di riflessione del gruppo, il cantante James Skelly aveva sentito il bisogno nel 2013 di una sortita solista. Insomma, una band-famiglia che non ha mai deviato troppo dalla propria formula musicale. Coral Island però introduce una novità, quella della struttura da concept album, con una precisa trama da seguire (scritta dal tastierista Nick Power) che racconta le vicende di una città immaginaria, narrata da una voce che ha subito fatto accostare il disco a classici come Ogdens' Nut Gone Flake degli Small Faces. Sebbene la durata non sia eccessiva (54 minuti), l’album figura essere un doppio, diviso in una prima parte che immagina la nascita e il fiorire di questa cittadina di mare (con parecchi ricordi di una infanzia felice dell’autore), e una seconda che invece vede il declino visto con gli occhi di alcuni personaggi che la popolano. Insomma, una storia moderna di nostalgia per un mondo che si perde pian piano, quasi un C’era una volta il West costruito ad hoc per i palati di oggi, che infatti ha due anime distinte, una più spensieratamente pop nella prima parte (e i Kinks ringraziano per quanto li si fa sentire ancora importanti), una più involuta e malinconica nel secondo disco. Il tutto sempre comunque ammantato da quel sognante tocco di psichedelia “old-style” che rappresenta un po’ il loro marchio di fabbrica.  Inizialmente la band voleva pubblicare i due dischi separatamente, a breve distanza l’uno dall’altro, come purtroppo si usa fare ora per rispondere alle esigenze di brevità dello streaming, ma proprio “Fuck Streaming!” è stata l’esclamazione dell’ex Oasis Noel Gallagher (passato a salutarli in studio durante le registrazioni) che li ha convinti far uscire il tutto in un unico corpo. E meno male, perché Coral Island, per quanto non innovativo nelle soluzioni, trova però un brillante espediente per tenere incollati alle casse l’ascoltatore, sia con ariosi pop da radio come Change Your Mind, che con momenti riflessivi da perderci la mente come Mist on the River. Le statistiche delle piattaforme streaming ci diranno se vincerà anche la sfida di tenere incollati i loro utenti per quasi un’ora con una musica che viene dal passato.

Nicola Gervasini

VOTO: 7,5

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