Coral - Coral Island
2021, Modern
Sky UK / Run On
È sempre bello poter raccontare
come una band nata sui banchi di scuola raggiunga un certo successo, e
addirittura diventi una realtà più che longeva. Gli inglesi Coral, ad esempio,
sono assieme dal 1996, anche se l’esordio discografico è arrivato solo nel 2002
dopo una giusta gavetta di concerti locali, e sicuramente sono una delle realtà
che meglio rappresenta la musica di questo ultimo ventennio, fatta di Smiths e
R.E.M. come benzina presa dagli anni ottanta, miscelata con lo spleen timido e
lo-fi dell’indie-rock moderno.
Coral Island è il loro decimo album, un
numero da band scafata che è riuscita, tra gli inevitabili alti e bassi della
carriera, a non perdere seguito e consensi neppure dopo aver perso una delle
colonne portanti (il chitarrista Bill Ryder-Jones, degnamente sostituito da Paul
Molloy), o neppure quando, dopo una pausa di riflessione del gruppo, il
cantante James Skelly aveva sentito il bisogno nel 2013 di una sortita solista.
Insomma, una band-famiglia che non ha mai deviato troppo dalla propria formula
musicale.
Coral Island però introduce una novità, quella della struttura
da concept album, con una precisa trama da seguire (scritta dal tastierista
Nick Power) che racconta le vicende di una città immaginaria, narrata da una voce
che ha subito fatto accostare il disco a classici come Ogdens' Nut Gone Flake degli
Small Faces. Sebbene la durata non sia eccessiva (54 minuti), l’album figura
essere un doppio, diviso in una prima parte che immagina la nascita e il fiorire
di questa cittadina di mare (con parecchi ricordi di una infanzia felice
dell’autore), e una seconda che invece vede il declino visto con gli occhi di
alcuni personaggi che la popolano. Insomma, una storia moderna di nostalgia per
un mondo che si perde pian piano, quasi un C’era una volta il West costruito ad
hoc per i palati di oggi, che infatti ha due anime distinte, una più spensieratamente
pop nella prima parte (e i Kinks ringraziano per quanto li si fa sentire ancora
importanti), una più involuta e malinconica nel secondo disco. Il tutto sempre comunque
ammantato da quel sognante tocco di psichedelia “old-style” che rappresenta un
po’ il loro marchio di fabbrica.
Inizialmente
la band voleva pubblicare i due dischi separatamente, a breve distanza l’uno
dall’altro, come purtroppo si usa fare ora per rispondere alle esigenze di
brevità dello streaming, ma proprio “Fuck Streaming!” è stata l’esclamazione
dell’ex Oasis Noel Gallagher (passato a salutarli in studio durante le
registrazioni) che li ha convinti far uscire il tutto in un unico corpo. E meno
male, perché Coral Island, per quanto non innovativo nelle soluzioni, trova
però un brillante espediente per tenere incollati alle casse l’ascoltatore, sia
con ariosi pop da radio come
Change Your Mind, che con momenti
riflessivi da perderci la mente come
Mist on the River. Le statistiche
delle piattaforme streaming ci diranno se vincerà anche la sfida di tenere
incollati i loro utenti per quasi un’ora con una musica che viene dal passato.
Nicola Gervasini
VOTO: 7,5
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