Florence + The Machine - Dance Fever
Polydor, 2022
Strano fenomeno quello di
Florence + The Machine, band britannica che ruota intorno alla carismatica figura
di Florence Welch. Particolari perché rappresentano un felice connubio tra
vendibilità (perdonate se tradisco la mia età ragionando anche in termini di
vendite e non ascolti) e qualità. Gli album Lungs del 2009 e il decisamente
accomodante Cerimonials del 2011 sono già dei piccoli classici, a cui la band ha
dato seguito con altri 2 capitoli che ne hanno comunque confermato la statura.
Dance Fever arriva dopo che nel 2021 avevano fornito la canzone Call Me Cruella
al film Crudelia di Craig Gillespie (con Emma Stone), momento che li ha
decisamente affermati nel mainstream, ed è forse proprio per quello che il singolo
King, che ha anticipato l’album con un bel video girato in Ucraina poco prima
dello scoppio della guerra da Autumn de Wilde (cercate anche il suo film Emma
del 2020), ha spiazzato un po’ tutti. Nessuna febbre danzereccia infatti qui,
ma un bellissimo e teso brano molto intimo (posto significativamente in
apertura dell’album) che riflette sul proprio ruolo di madre/sposa, non
necessariamente un incattivito inno femminista, quanto una disperata analisi
dell’obbligo ad essere “multi-tasking” del ruolo femminile di oggi. Un brano
davvero intenso che già ben predispone ad accettare invece un disco che poi
cambia subito rotta ritornando ai suoi arrangiamenti un po’ barocchi e pop in Free
e Choreomania. Ma episodi come Back In Town (un lento gospel appoggiato sulle
suggestive tastiere di Isabella Summers) e Girls Against God (una tenue
folk-song alla Laura Marling) dimostrano come la Welch ci tenga a spingere la
propria arte anche verso la canzone d’autore, non perdendo la propria marca
stilistica. Che è comunque figlia di certi momenti maestosi alla Kate Bush (Dream
Girl Evil), non disdegna i ritmi radiofonici promessi dal titolo del disco (My
love), e non dimentica il proprio background da dark-lady con il poster di Siouxsie
and the Banshees nella cameretta (Cassandra). Il finale di Morning Elvis è lì a
dimostrare quanto l’autrice sia davvero valida, ma anche quanto contino i suoi
compagni di viaggio (il chitarrista Robert Ackroyd, ad esempio è bravo a dare
un contributo importante ad un sound che certo non ha la chitarra come
strumento centrale). Prodotto da Jack Antonoff dei Bleachers e Dave Bayley dei
Glass Animals, Dance Fever è stilisticamente il classico disco di riassunto
delle puntate precedenti, con presenti tutte le facce della band da quella
intimista a quella kitsch-pop, ma è dal punto di vista della caratura dei brani
che arriva la nota positiva di una ulteriore crescita. “Dici che il rock and
roll è morto, ma è solo perché non è risorto a tua immagine e somiglianza?”
canta Florence in Choreomania, e non esiste modo migliore per descrivere la sua
concezione artistica finemente sospesa tra futuro e passato.
VOTO: 7,5
Nicola Gervasini
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