venerdì 9 settembre 2022

Kurt Vile

 


Kurt Vile

(watch my moves)

(verve,2022)

File Under: nuovi talking blues

 

Credo che il miracolo più grande possa accadere ad un artista è quello di trovare un personale modus operandi che lo distingua sempre e comunque dalla massa. Se il mondo musicale che seguiamo da anni è popolato da miriadi di nomi, il gruppo di artisti che possiamo usare come riferimento stilistico o comunque riconoscere per un certo tipo soluzione stilistica abbastanza esclusiva, sono davvero pochi. Kurt Vile, tra le generazioni più recenti, aveva raggiunto questo importante traguardo, sicuramente grazie agli album Wakin on a Pretty Daze del 2013 e Bottle It In del 2018, incamerando quello che è un suono folk-pop un po’ allucinato che va anche abbastanza di moda di questi tempi, in personalissimi e verbosissimi sproloqui che spesso allungano parecchio le sue canzoni. Potremmo quasi dargli il merito di aver inventato delle pop-song da 6-7 minuti di media, dove il ritornello quasi non lo aspetti più perché presi dai suoi ipnotici semi-talking. In questo senso questo nuovo album, intitolato (watch my moves), da scrivere minuscolo e tra parentesi come se fosse un timido e non invadente invito a occuparci di lui, non si discosta dalla formula, se non per la nota produttiva che lo ha visto registrare il disco nella solitaria clausura dei lockdown. Tempi lunghi (73 minuti), ben 14 brani (più una brevissima intro), con una ricercata e ossessiva monotonia nel canto che rende il tutto uniforme: la maggior parte degli artisti uscirebbe sconfitto da un tour de force del genere, ma non Vile che, nonostante l’album appaia come un capitolo più stanco e forse di passaggio del suo nuovo viaggio, riesce a far reggere ancor il tutto senza annoiare. Lo aiutano in questa impresa alcuni amici collegati in remoto, come i Violators, Sarah Jones che gli fornisce le percussioni di  Flyin (Like A Fast Train e Hey Like A Child,  Cate Le Bon e Stella Mozgawa  che uniscono le forze per rendere Jesus On A Wire uno dei brani più rappresentativi della nuova raccolta, il sax di James Stewart (Sun Ra Arkestra) che porta tocchi quasi free-jazz a Goin On A Plane TodayLike Exploding Stones. Sono diversivi utili, ma va detto che Vile se la stava comunque cavando bene da solo, raccontando le sue allucinate storie (sembra quasi ambire a diventare il nuovo Julian Cope o Robyn Hitchcock in quanto a visionarietà di argomenti) con fintamente annoiata convinzione in tutti gli altri brani, con una personalità decisamente forte, tanto che anche la cover di Wages Of Sin, uno scarto del Bruce Springsteen del periodo Nebraska (pubblicato poi nel cofanetto Tracks del 1998), finisce quasi per confondersi tra le altre canzoni come un qualsiasi brano autografo. Se è vero che il gioco è bello se dura poco, (watch my moves) rappresenta quel momento in cui siamo alle fasi finali del divertimento, già stanchi ma ancora euforici, ma conserva ancora i tratti dell’opera importante che si differenzia dalla massa, e di questo va reso merito a Vile.

Nicola Gervasini

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