Spiritualized – Everything Was Beautiful
Fat Possum, 2022
Intorno
al trentaduesimo anno di carriera i Rolling Stones stavano pubblicando Voodoo
Lounge, disco che venne accolto anche come una piccola rinascita dopo i
controversi anni ottanta, ma che non cambiò la sensazione che la band avesse
esaurito la migliore vena creativa ai tempi di Tattoo You (1981) e appartenesse
ormai ad un passato spazzato via dal nuovo rock anni novanta. Dico questo
perché oggi pare invece molto diverso il modo in cui accogliamo una band come
gli Spritualized, nati 32 anni fa, e ormai a tutto diritto dei veterani della
scena del rock alternativo mondiale. Sicuramente non ci aspettiamo più un
grande cambio di rotta rispetto alla loro ormai consolidata proposta, ma nessun
recensore li accoglierebbe mai come un gruppo di vecchi bolliti buoni per la pensione,
come già accadeva Jagger e soci (andate a rileggervi come fu accolto Steel Wheels
nel 1989, pareva si parlasse di vecchi prossimi alla morte). È cambiata la
nostra percezione di rapporto rock/età probabilmente, se a 57 anni Jason
Pierce viene ancora trattato come un giovane propositore di musica per il
futuro. Sarà anche che la sigla Spiritualized non si è mai consumata in una sovraproduzione
(questo Everything Was Beautiful è solo il
loro nono album), e che quindi ogni loro centellinata uscita ha fatto storia a
sé, ma quello che ci offre Pierce con i suoi cinque compagni di viaggio appare
come qualcosa di moderno e tranquillamente vendibile anche ad un giovane che si
interessi di questa neo-psichedelia lenta e sognante (a me verrebbe da definirli
“post-shoegaze” più per l’atteggiamento che per il suono, ma su di loro le
definizioni si sono sprecate nel tempo, fino ad arrivare a definirli
space-rock). La parola d’ordine è quindi “continuità”, fin dal titolo che completa
la citazione di Kurt Vonnegut introdotta dal disco precedente And Nothing Hurt (“everything was beautiful and nothing
hurt” è una frase tratta da Mattatoio N.5), anche se musicalmente stavolta
Pierce calca la mano sull’aspetto corale, quasi gospel, di certe canzoni, con
il consueto escamotage di trovare un finale maestoso ad una partenza intima e
soffusa fin dall’iniziale Always Together With You. È, se vogliamo, un disco che guarda ancora
di più al classic-rock del loro solito, addirittura abbozzando un giro da vera
rock-band in The Best Thing You Never Had (The D Song), o citando miti a destra
e a manca come in Let It Bleed (For Iggy) che riesce in un sol titolo a
prendere due piccioni con una fava (ma non è una cover del noto brano omonimo
dei Rolling Stones) aggiungendo al menu anche esplosioni di fiati da glam-rock.
Nulla che possa più sconvolgere il mercato né tantomeno creare nuove orde di
proseliti, ma qui tutto è comunque davvero bello come promette il titolo, come anche
il fatto che gli Spiritualized sono ancora qui dopo più di trent’anni a farci
sognare con la loro musica senza tempo.
Nicola Gervasini
VOTO: 7,5
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