Craig Finn
A Legacy
of Rentals
(Positive
Jams/Thirty Tigers, 2022)
File Under:
Every Picture Tells a Story
Se si sommano i dischi a proprio
nome (A Legacy of Rentals è il
quinto) e quelli usciti come Hold Steady (otto a oggi), ci si rende
conto come in meno di vent’anni Craig Finn abbia davvero scritto e
prodotto tanto. Non è un dato indifferente per un autore che fa dell’idea di
testo visto come piccolo racconto letterario una propria marca stilistica, e
non sarebbe una sorpresa un giorno vederlo imbarcarsi in una carriera parallela
di scrittore come il collega Willy Vlautin dei Delines e Richmond Fontaine. C’è
anche una certa differenza di base tra le produzioni a suo nome e quelle con la
band, le prime solitamente meno votate all’arena-rock corale che caratterizza
molte canzoni degli Hold Steady, ma sostanzialmente le due discografie si
poggiano su un'unica fonte d’ispirazione derivante dalla sua penna. Nei brani
di Finn, infatti, la musica segue il testo e non viceversa, lo storytelling è
sempre al centro di tutto, tanto che spesso (come anche in questo nuovo album),
i brani si risolvono sostanzialmente in una sorta di reading (sentite i sei
minuti di A Break From The Barrage), anche perché la sua vocalità non certo
melodica ne favorisce la modalità spesso declamatoria anche nei brani più
veloci e rockeggianti. A Legacy of Rentals è nato ovviamente nei mesi
del lockdown, ma per lui che vive stabilmente a Minneapolis, è stato anche un
modo per reagire all’assassinio di George Floyd che ha funestato la sua città
creando non pochi problemi di reazione all’odio razziale in tutti gli Stati
Uniti, un fatto che, a sua detta, ha ridefinito molto il suo modo di raccontare
le vicende umane, perché una realtà così cruda proprio sotto casa lo ha fatto riflettere
sulla distanza che c’è sempre tra una storia come accade nella realtà, e come
poi viene raccontata, sia dal giornalismo che dalla letteratura. Per questo nei
nuovi brani serpeggia una nuova crudezza (The Amarillo Kid) e un
palpabile disincanto (The Year We Fell Behind), ma il suo tocco
personale emerge comunque, confermando (non ci stancheremo mai di ribadirlo), quanto
sia un autore alquanto sottovalutato rispetto a tanti giovani artisti moderni
più acclamati di lui. Dove sorge qualche problema stavolta è sulla produzione di
Josh Kaufman, che se da un lato fa quello che può intervenendo su registrazioni
casalinghe inserendo spesso una drum machine non sempre opportuna e addirittura
una sezione d’archi, dall’altro si caratterizza da un continuo (e alla fine un
po’ monotono) dialogo tra voce narrante e coro femminile, quasi una struttura da
tragedia greca, affascinate da un punto di vista dello sviluppo del racconto,
ma un po’ meno da quello musicale. Non so quindi se A Legacy of Rentals sarà il
titolo giusto per portare alla luce anche la sua carriera solista, che fino a
oggi è rimasto decisamente all’ombra di quella degli Hold Steady, sicuramente per
noi rappresenta uno nuovo capitolo di un bellissimo libro.
Nicola Gervasini
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