domenica 25 settembre 2022

Craig Finn

 


Craig Finn

A Legacy of Rentals

(Positive Jams/Thirty Tigers, 2022)

File Under: Every Picture Tells a Story

Se si sommano i dischi a proprio nome (A Legacy of Rentals è il quinto) e quelli usciti come Hold Steady (otto a oggi), ci si rende conto come in meno di vent’anni Craig Finn abbia davvero scritto e prodotto tanto. Non è un dato indifferente per un autore che fa dell’idea di testo visto come piccolo racconto letterario una propria marca stilistica, e non sarebbe una sorpresa un giorno vederlo imbarcarsi in una carriera parallela di scrittore come il collega Willy Vlautin dei Delines e Richmond Fontaine. C’è anche una certa differenza di base tra le produzioni a suo nome e quelle con la band, le prime solitamente meno votate all’arena-rock corale che caratterizza molte canzoni degli Hold Steady, ma sostanzialmente le due discografie si poggiano su un'unica fonte d’ispirazione derivante dalla sua penna. Nei brani di Finn, infatti, la musica segue il testo e non viceversa, lo storytelling è sempre al centro di tutto, tanto che spesso (come anche in questo nuovo album), i brani si risolvono sostanzialmente in una sorta di reading (sentite i sei minuti di A Break From The Barrage), anche perché la sua vocalità non certo melodica ne favorisce la modalità spesso declamatoria anche nei brani più veloci e rockeggianti. A Legacy of Rentals è nato ovviamente nei mesi del lockdown, ma per lui che vive stabilmente a Minneapolis, è stato anche un modo per reagire all’assassinio di George Floyd che ha funestato la sua città creando non pochi problemi di reazione all’odio razziale in tutti gli Stati Uniti, un fatto che, a sua detta, ha ridefinito molto il suo modo di raccontare le vicende umane, perché una realtà così cruda proprio sotto casa lo ha fatto riflettere sulla distanza che c’è sempre tra una storia come accade nella realtà, e come poi viene raccontata, sia dal giornalismo che dalla letteratura. Per questo nei nuovi brani serpeggia una nuova crudezza (The Amarillo Kid) e un palpabile disincanto (The Year We Fell Behind), ma il suo tocco personale emerge comunque, confermando (non ci stancheremo mai di ribadirlo), quanto sia un autore alquanto sottovalutato rispetto a tanti giovani artisti moderni più acclamati di lui. Dove sorge qualche problema stavolta è sulla produzione di Josh Kaufman, che se da un lato fa quello che può intervenendo su registrazioni casalinghe inserendo spesso una drum machine non sempre opportuna e addirittura una sezione d’archi, dall’altro si caratterizza da un continuo (e alla fine un po’ monotono) dialogo tra voce narrante e coro femminile, quasi una struttura da tragedia greca, affascinate da un punto di vista dello sviluppo del racconto, ma un po’ meno da quello musicale. Non so quindi se A Legacy of Rentals sarà il titolo giusto per portare alla luce anche la sua carriera solista, che fino a oggi è rimasto decisamente all’ombra di quella degli Hold Steady, sicuramente per noi rappresenta uno nuovo capitolo di un bellissimo libro.

Nicola Gervasini

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