martedì 20 gennaio 2009
NIBS VAN DER SPUY - A Bird in the Hand
09/01/2009
Rootshighway
VOTO: 7
Difficile dire quanto il cosmopolitismo musicale vagheggiato dalla cosiddetta "world music" degli anni '80 sia davvero riuscito ad abbattere le barriere culturali, così come prevedeva in tempi ancora non sospetti Peter Gabriel, colui che di questa ideologia terzomondista è stato promotore e uno dei principali fautori occidentali. Oggi la musica sembra essersi rinchiusa in nicchie specialistiche, con atteggiamenti ben lontani dalle larghe vedute antropologiche auspicate vent'anni fa, tanto che la stessa espressione "world music" è quasi caduta in disuso. Sicuramente negli anni i ritmi e i sapori di culture lontane hanno portato nuove idee e linfa vitale a quel vecchio dinosauro stanco che è il rock, ma dall'incontro tra musica africana e canzone occidentale, giusto per fare un esempio, probabilmente non è mai nata una nuova era musicale come sperava l'ex Genesis, quanto solo un reciproco e proficuo scambio di suoni. Sono album come A Bird In The Hand di Nibs Van Der Spuy a dimostrare che comunque l'errore è stato forse il mirare troppo in alto, perché senza pensar di far troppe rivoluzioni, può accadere che in Sud Africa un bianco di evidenti origini olandesi stia portando avanti un interessantissimo discorso che unisce il folk, il soft-core indipendente tanto in voga di questi tempi e temi e ambientazioni africane. Voce soffusa molto simile a quella di Neal Halstead dei Mojave 3, una grande perizia tecnica con la chitarra acustica (usa spesso una chitarra portoricana a quattro corde), che ricorda molto certi virtuosismi di Bruce Cockburn (ascoltate gli strumentali Brunette On A Bicycle e Under A Tongaat Moon), e un amore per testi evocativi e pieni di immagini da cartolina. D'altra parte quando un disco inizia con un verso come "c'è una casa abbandonata su una pianura del Mozambico, da una porta rotta entra una pioggia perpetua…" è impossibile non venir subito catapultati in altri mondi con l'immaginazione. Indeciso tra il seguire fedelmente vecchi schemi europei (May You Shine esagera nel cercare Nick Drake), nell'ostentare frequentazioni caratterizzanti (il bel duetto con l'amico Piers Faccini nella quasi programmatica Shaded In Blue) o nel cercare sapori caraibici (il divertente reggae di Cry For You, che assomiglia parecchio a Wonderin' Where The Lions Are di Cockburn), Van Der Spuy è un artista che ricorda per spirito Archie Roach, il cantautore australiano che negli anni '90 riuscì a coniugare perfettamente folk americano con tradizioni lontane (in quel caso quelle dei aborigeni). Il difetto di A Bird In The Hand è forse di essere un album ancora troppo occidentale, troppo allineato a schemi che la scena indipendente degli ultimi dieci anni sta usando e abusando, quando forse un po' più di coraggio nel respirare l'aria di Durban avrebbe portato più originalità. Resta comunque la scoperta di un buon autore al quale val la pena dare una chance per apprezzare bei brani autunnali come With Every Step, Searching For The Rainbow o la delicata Flower In The Rain. (Nicola Gervasini)
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