martedì 27 aprile 2010
LUCAS DAWSON - Another Way To Say Goodbye
Rootshighway
31/3/2010
L'essere itineranti come condizione della mente, prima ancora che una reale condizione di vita, è nel sangue di qualsiasi australiano, abitante di una terra storicamente di passaggio, continua meta e punto di partenza al tempo stesso di mille avventure. Non sorprende quindi leggere le note biografiche di Lucas Dawson, australiano errante e perennemente in attesa del treno giusto, proprio come nella fotografia della copertina del suo Another Way To Say Goodbye, ma artista indipendente che ha trovato il suo Eden artistico nella fervente Svezia. Registrato a Stoccolma con la produzione dei fratelli Martin e Richard Insulander, rispettivamente anche tastierista e batterista della band che lo accompagna, Another Way To Say Goodbye è un disco che si nutre della ormai proverbiale flemma del folk scandinavo, quella che non si preoccupa del fatto che i dieci brani qui presenti siano quasi tutti di lunga durata e di ritmo lento.
Sarà che il freddo non invoglia alla fretta, ma paradossalmente forse mette anche poca voglia di muoversi per reagire alla depressione, visto il clima spettrale di queste canzoni, eppure nel finale Dawson ritrova il suo sangue caldo e riesce a scuotersi. Il disco infatti vive nelle sue battute conclusive i suoi momenti più rock (la chitarrosa I Hate You), azzardando persino un quasi-reggae contrappuntato di fiati caraibici (I'm Giving Up) e il bellissimo finale pop di Goodbye, splendida melodia cantata in coppia con la voce di Emily Brown. La partenza invece è di quelle che gettano tutto negli abissi della desolazione umana, con titoli come Four Catastophic Years e I'm So Miserable che dicono tutto di un mondo fatto di amori finiti inesorabilmente male (We Were Too Young) e dei classici problemi che vi potete porre crogiolandovi nella vostra tristezza durante lunghi viaggi solitari (What Am I To Do?).
Dawson canta tutto con una voce roca e soffocata che tanto ricorda quella di J Tillman, si aggroviglia spesso sulla sua verbosità, ma quando riesce a trovare la chiave giusta, i suoi brani sono anche molto accattivanti (Ain't Life Cruel ad esempio, sette minuti tra cambi di tempo e un testo pessimista sì, ma con passaggi davvero incisivi fin dall'iniziale "mi taglierò per te dal cuore la parte più debole, lo farò nel modo più difficile e sbagliato, lo farò nell'unico modo che conosco, bruciando tutte le mie memorie, tutti i miei vestiti…"). Il "plus" strumentale arriva comunque dall'ingegnoso chitarrista Nicke Grundberg, spigoloso e mai scontato nel commentare i lamenti di Lucas, un piccolo Nels Cline (Wilco) svedese come scuola di pensiero. Album interessante in ogni caso, anche se con alcuni difetti di prolissità ed eccessiva autoindulgenza che potrebbero essere risolti solo dandogli un minimo di credito e fiducia.
(Nicola Gervasini)
www.lucasdawson.com
www.myspace.com/aintlifecruel
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