martedì 6 luglio 2010

PLAN B - The Defamation of Strickland Banks


Il nome d’arte se l’è scelto in pieno stile da rapper, ma non è solo per questo che di Plan B abbiamo sentito parlare (con un certo orrore) come dell’”incrocio tra Eminem e Damien Rice”. Tutta colpa di un disco d’esordio (Who Needs Actions When You Got Words del 2006) che ha avuto un buon successo di vendite, grazie ad una strana clonazione tra il folk soffuso e acustico tipico di questi anni e alcuni ritmi e sproloquiate in puro stile da rapper, quanto basta per portare Benjamin Paul Ballance Drew (questo il suo vero nome) ad abbracciare addirittura il cinema con ruoli da attore ed ora pure da regista. Già, perché The Defamation of Strickland Banks, il suo secondo disco, nasce prima come film e poi come album, anche se è tutto da vedere se mai lo vedremo in Italia, viste le ormai ridotte possibilità dei nostri distributori e delle nostre sale cinematografiche. Forse un assaggio si ha dal video di She Said, secondo singolo dell’album, che vede questo tipico giovane londinese alle prese con scene da film forense oltre che un tocco di erotismo, ma soprattutto con un sound decisamente retro-black che ha lasciato un po’ tutti sorpresi. Il plot del film vede infatti un soul-singer incriminato di un delitto mai commesso, per cui via libera a ritmo, violini e wall of sound da Motown records, con piena esibizione del groove della propria parlata e ovviamente qua e là un po’ di rap per non sembrare poi così esageratamente retrò. Il suono sarà pur funzionale alla storia, ma limitandosi all’album nel giudizio, il nuovo Plan B sembra aver scelto la strada dell’estetica dimenticandosi quella della sostanza nello sviluppare il suo stile. Per cui correggiamo, Eminem forse rimane nel rap e nei testi sempre un po’ da inglesaccio maleducato, ma il Damien Rice dell’esordio viene sostituito da una versione maschile di Amy Winehouse o da un moderno Al Green bianco, con risultati spesso vicini a certi esercizi di stile in chiave pop-soul sentiti dall’Adam Green più gigione degli ultimi tempi. E se il giochino riesce anche a deliziare nel caso di She Said e qualche altro episodio di encomiabile perfezione formale (Love Goes Down, Prayin e l’altro singolo Stay Too Long), nell’insieme resta il dubbio su dove sia finita la sua personalità, visto che qui tutto sa di moda, calcolo e professionalità. E se mentre scriviamo l’album è già in alto chart inglesi è forse perché pare che questa possa essere l’unica via odierna di conciliare un minimo di qualità con la massima vendibilità.

Nicola Gervasini

2 commenti:

spillo ha detto...

mah...sarà che a me il rap non piace, ma questo album mi sembra una bomba. almeno 5 canzoni di livello assoluto!

Nicola Gervasini ha detto...

ma infatti anche a me il rap annoia in genera, e questo disco invece è carino, un buon compromesso

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