mercoledì 8 giugno 2011
FELICE BROTHERS - Celebration, Florida
Quale sarà il sound delle radici degli anni 10? Ok, sono appena iniziati, per cui inutile fare previsioni precise, ma intanto in questo periodo stiamo assistendo ad una vera e propria gara (a eliminazione?) a chi tra i gruppi cardine del decennio scorso troverà l'idea-bomba che faccia epoca. Si dirà che in genere le rivoluzioni sono appannaggio degli esordienti, mentre invece i Bright Eyes, gli Okkervil River, i My Morning Jacket, o gli stessi Felice Brothers qui giunti ormai al quinto capitolo della saga, sono a tutti gli effetti ormai dei veterani della roots-music moderna, e al massimo costituiscono il governo in carica da abbattere e non le nuove leve pronte a levare nuove barricate. Eppure tutte queste band sono accomunate da una congiunta svolta verso una nuova concezione della roots-music che abbandoni la gabbia (soporifera? abusata? vecchia?) del freak-folk/nu-folk depresso e intimista che ha imperversato negli ultimi dieci anni, a favore di un recupero della varietà di stili/strumenti/arrangiamenti che fu caratteristica amata/odiata della grandi produzioni degli anni 80.
I Felice Brothers si allineano così alla costruzione di strutture imprevedibili, dove una splendida roots-ballad sbilenca come Ponzi si trasforma improvvisamente in un giro da discoteca da primi anni 80 che ricorda (volutamente?) la Fade To Grey dei Visage (!). Potrebbe sembrare una provocazione buttata lì per fare un po' di rumore, ma tutto questo Celebration, Florida sembra forzatamente impegnato a cercare l'idea mai avuta da nessuno, a complicare ciò che è semplice, a forzare ciò che di solito veniva naturale. Come dire che è venuta prima l'idea di fare un "album diverso" della vera ispirazione su come farlo. Il risultato è qui da sentire, potremmo scrivere intere pagine a difesa del fatto che la band dimostra anche in questa occasione di avere comunque una marcia in più in termini di scrittura, che brani come Honda Civic o la straordinaria River Jordan che chiude l'album possono essere considerati tra le cose migliori uscite dalla loro fabbrica, ma non basterà a nascondere il fatto che nel suo complesso l'album ha pienamente fallito il tentativo di segnare una nuova partenza per la band all'indomani dell'abbandono del talentuoso Simone Felice.
Perché qui le idee sono tante, ma tutte confuse, come l'uso a casaccio che viene fatto di cori e fiati (Fire at The Pageant e Cus's Catskill Gym), o il fatto che anche quando cercano la loro tipica ballata trascinata e melmosa, finiscono nell'ordinario (Best I Ever Had). Quello che c'è da salvare lo abbiamo già detto, la speranza è di poter parlare in futuro di Celebration, Florida come di un incidente di percorso utile alla causa, come quando le grandi squadre trovano lo stimolo giusto per vincere un campionato solo dopo aver preso 3 gol dall'ultima in classifica. Di solito in quei casi aiuta anche cambiare l'allenatore, il fidato Jeremy Backofen (con loro da 4 album) sembra aver davvero perso il controllo dello spogliatoio.
(Nicola Gervasini)
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