venerdì 3 giugno 2011

FREEMAN DRE & & The Kitchen Party - Red Door 2nd Floor


Sulla scia dell'eterno dubbio se sia nato prima l'uovo o la gallina, la questione se Tom Waits abbia creato di suo uno stile, o se sia da considerare lui stesso solo una delle più singolari espressioni di tutte quelle tradizioni che ha saputo ben miscelare, rimarrà insoluta. Certamente qualsiasi recensore anche in erba non potrebbe fare a meno di citarlo quando nel lettore arrivano cd come Red Door 2nd Floor di Freeman Dre & The Kitchen Party, un po' per la voce roca e sofferta del padrone di casa, un po' per quel mix di musica da strada, jazz, blues, roots-music e influenze balcaniche varie offerto dal combo, che non può non rimandare al mondo waitsiano degli anni 80. In questo scenario è interessante la definizione che loro stessi danno alla loro musica, "city-folk", come se volessero in qualche modo negare l'aspetto rurale della loro proposta, nonostante un brano come Went To Town potrebbe tranquillamente essere una cover dei Jayhawks rifatta in versione gutturale. La città che ispira il loro city-blues è Toronto, ma quella di adozione è ovviamente New York, che loro bazzicano abitualmente sia per locali che per le strade.

La struttura dei Kitchen Party infatti è quella di una tipica road-band con strumenti acustici e di fortuna, contrabbasso e fisarmonica di ordinanza, chitarre fintamente scordate e mandolini. Eppure nella proposta affiorano anche brani di struttura decisamente mainstream (ad esempio These Walls, una delle poche a sciorinare una elettrica tipicamente blues), con un risultato a metà tra una band blue-collar come i Great Crusades (la voce di Dre - vero nome Andre Flak - davvero somiglia a quella di Brian Krumm) e un cantautore con voce profonda a vostra scelta (Magdalena è una ballatona che potremmo anche trovare in un cd di Jon Dee Graham). Se il risultato appare comunque curioso è proprio perché la band sa spaziare molto nei generi, se è vero che l'album si apre con uno pseudo-country zoppicante come Oak Tree, per continuare con la triste fisarmonica mittleuropea di Six Hundred Feet o la baldanzosa Babylon, che sembra il parto dei Pogues in gita a Sofia.

In ogni caso i ragazzi forse non faranno scena e paiono un po' la versione normalizzata dei Gogol Bordello, ma un brano come Let's Take The Show On The Road, con il suo ritmo circense, resta un bell'esempio di dove possono arrivare dei bravi artigiani della musica fai-da-te. Poi come sempre il gioco dopo un po' si svela e qualcosa in intensità si perde (Saturday Night In Parkdale, per quanto suggestiva, è davvero una di quelle ballate che qualsiasi cantautore del globo ha in repertorio, mentre Needle in Your Eye non riesce proprio a decollare). Prima di passare ad altro, date un'occhiata anche ai testi, e annotate che nella girandoli di stili passa anche un gospel (It's Good To Have Faith In The Lord), un delta-blues acustico alla Cooder (Funny Situation) e un saltellante brano in polacco (Do Widzenia) su cui potrete esercitare la vostra nota maestria nei balli dell'est.
(Nicola Gervasini)

freemandreandthekitchenparty.bandcamp.com
www.myspace.com/freemandrethekitchenparty

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