Steve Cropper Dedicated: A Salute To The 5 Royales [Savoy/ Universal 2011]
Non apriamo la solita querelle sul reale valore di simili operazioni, il rock probabilmente è oggi diventato un unico tale omaggio a se stesso che sta diventando difficile distinguere tra omaggi, riferimenti e semplici tributi. Dedicatedfa parte della categoria degli "auto-tributi", cioè il caso in cui un artista dal curriculum blasonato organizza da solo una festa in proprio onore, seppur con il pretesto di ringraziare il suo maestro Lowman Pauling e i suoi 5 Royales, una band che negli anni 50 sfornava singoli storici a ritmo di catena di montaggio (Think, che poi sarà un successo per James Brown, resta il più noto) . Steve Cropper è una sorta di monumento della soul-music, eretto in quella piazza secondaria di solito riservata ai session-men, e per questo noto solo agli addetti ai lavori e a tutti quelli che guardando per la milionesima volta il film Blues Brothers di John Landis hanno avuto il buongusto di leggere i credits finali.
70 anni, uomo tuttofare della Stax Records fino al 1970 (con particolare riguardo al lavoro svolto al servizio di Otis Redding), e poi professionista libero di spaziare tra i generi (lo ritroviamo negli studi di John Prine, Rod Stewart, Jeff Beck e tanti altri, persino i Big Star), Cropper ha insegnato a tutti non tanto la tecnica (non è considerato un particolare virtuoso della sei corde), quanto il gusto dell'assolo essenziale e dell'arrangiamento al servizio della canzone. Averlo in session era una sicurezza in termini di professionalità, non era uomo da scatenare grandi applausi, quanto una sorta di mediano del mondo del soul, di quelli che si vendono poco come merchandising, ma guai a non averlo in squadra.
Cropper per l'occasione ha riunito una home-band con i fiocchi, aiutato dal produttore Jon Tiven: David Hood (basso), Spooner Oldham (piano e organo), Steve Ferrone e Steve Jordan (batteria e percussioni) e la sezione fiati affidata a Neal Sugarman dei Dap Kings e allo stesso Tiven. Con un simile accompagnamento, difficile fare brutta figura per i tanti veterani venuti in visita: Steve Winwood nell'iniziale Thirty Second Lover sembra ritrovare la verve degli esordi con lo Spencer Davis Group, il finto siparietto coniugale tra BB King e Shemekia Copeland (è la figlia del mitico chitarrista Johnnie Copeland) di Baby Don't Do It diverte molto, così come si conferma un maestro del genere il vecchio Delbert McClinton. Il resto è normale routine da professionisti, con una Lucinda Williams che prima forse esagera un po' troppo a gigioneggiare con il suo southern accent in Dedicated To The One I Love, ma fa a tempo a riaggiustare il tiro nel finale, o un John Popper che comincia ad essere troppo prevedibile, mentre le voci nere di Bettye Lavette e Sharon Jones sembrano fin troppo a loro agio nel genere per tirar fuori qualcosa di veramente memorabile. Qualche sorpresa la riserva un Brian May che rispolvera la sua formazione blues sotterrata subito dopo i primi dischi dei Queen, mentre è difficile capire la presenza del giovane Dylan Leblanc, chissà perché ammesso al banchetto dei grandi senza ancora averne le credenziali, e comunque in grado di uscire vivo dall'incontro con Sharon Jones. Tutto piacevole comunque, ça va sans dire. (Nicola Gervasini)
TRACKLIST e OSPITI
01. Thirty Second Lover (with Steve Winwood) 02. Don't Be Ashamed (with Bettye Lavette & Willie Jones) 03. Baby Don't Do It (with B.B. King & Shemekia Copeland) 04. Dedicated To The One I Love (with Lucinda Williams & Steve Winwood) 05. My Sugar Sugar (with John Popper) 06. Right Around The Corner (with Delbert McClinton) 07. Help Me Somebody (Steve Cropper instrumental) 08. I Do (with Brian May) 09. Messin' Up (with Sharon Jones) 10. Say It (with Bettye LaVette) 11. The Slummer The Slum (with Buddy Miller) 12. Someone Made You For Me (with Dan Penn) 13. Think (Steve Cropper instrumental) 14. Come On & Save Me (with Dylan Leblanc & Sharon Jones) 15. When I Get Like This (with Lucinda Williams)
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