EDWARD SHARPE AND THE
MAGNETIC ZEROS
HERE
Rough Trade
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Fenomeno recente
del mondo della musica indipendente (scoperti dalla Rough Trade), Edward Sharpe and the Magnetic Zeros
potrebbero essere presi ad esempio della confusione ingenerata dalla totale
libertà espressiva offerta dal caotico mondo discografico dei nostri tempi. Fin
dal loro primo album (Up From Below
del 2009) catalogarli è stato compito arduo: indie-folk, nuova psichedelia,
semplice indie-music, il combo capitanato dal barbuto vocalist Alex Ebert ha molto puntato sulla
definizione di un sound “diverso”, sebbene sempre legato alle radici. Si
potrebbero comunque inserire in un filone alla Mumford & Sons (con cui
hanno anche suonato) o Midlake, con tutte le differenze del caso. Here arriva
a distanza di tre anni da quell’acclamato esordio, e cerca ancor più di
esaltare gli aspetti meno convenzionale del loro suono, con risultati alterni
che forse necessiteranno del giudizio del tempo per essere ben compresi. Si
inizia molto bene con Man On Fire,
ballata cavernosa che potrebbe apparire anche in un disco dei Felice Brothers,
ma già That’s What’s Up tenta di
mescolare le carte con un folk confuso tra mille voci, coretti e tastiere di
ogni sorta che ricorda molto il fantasioso indie-pop dei Port O’Brien. Con I Don’t Wanna Pray siamo invece in pieno
mondo bluegrass alla Carolina Chocolate Drops, ma si cambia subito ritmo con una
Mayla che sa tanto di inno da hippie
anni sessanta, episodio decisamente demodè che regala suggestioni ma lascia un
po’ l’amaro in bocca per come non riesce a svilupparsi nei suoi quasi sei minuti.
Non rialza le quotazioni Dear Believer,
piccolo pastiche con fiati e una melodia un po’ zoppicante che non riesce a
fare breccia nel cuore, va meglio con la sofferta ballata alla Bonnie Prince
Billy Child. One Way To Another indugia
ancora troppo in cori tribali, ma con Fiya
Wata siamo in pieno Jefferson Airplane sound, e solo con il finale di All Wash Out Ebert torna a dimostrare di
poter essere anche un buon songwriter. Troppa carne al fuoco e non tutta di
prima scelta, il freak-folk dei Edward
Sharpe and the Magnetic Zeros incanta al primo ascolto ma nasconde troppa poca
sostanza, laddove gruppi come gli Akron Family o gli Avett Brothers hanno già
saputo costruire opere più personali e durature.
Nicola Gervasini
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