mercoledì 25 luglio 2012

EDWARD SHARPE AND THE MAGNETIC ZEROS


EDWARD SHARPE AND THE MAGNETIC ZEROS

HERE

Rough Trade

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Fenomeno recente del mondo della musica indipendente (scoperti dalla Rough Trade), Edward Sharpe and the Magnetic Zeros potrebbero essere presi ad esempio della confusione ingenerata dalla totale libertà espressiva offerta dal caotico mondo discografico dei nostri tempi. Fin dal loro primo album (Up From Below del 2009) catalogarli è stato compito arduo: indie-folk, nuova psichedelia, semplice indie-music, il combo capitanato dal barbuto vocalist Alex Ebert ha molto puntato sulla definizione di un sound “diverso”, sebbene sempre legato alle radici. Si potrebbero comunque inserire in un filone alla Mumford & Sons (con cui hanno anche suonato) o Midlake, con tutte le differenze del caso. Here arriva a distanza di tre anni da quell’acclamato esordio, e cerca ancor più di esaltare gli aspetti meno convenzionale del loro suono, con risultati alterni che forse necessiteranno del giudizio del tempo per essere ben compresi. Si inizia molto bene con Man On Fire, ballata cavernosa che potrebbe apparire anche in un disco dei Felice Brothers, ma già That’s What’s Up tenta di mescolare le carte con un folk confuso tra mille voci, coretti e tastiere di ogni sorta che ricorda molto il fantasioso indie-pop dei Port O’Brien. Con I Don’t Wanna Pray siamo invece in pieno mondo bluegrass alla Carolina Chocolate Drops, ma si cambia subito ritmo con una Mayla che sa tanto di inno da hippie anni sessanta, episodio decisamente demodè che regala suggestioni ma lascia un po’ l’amaro in bocca per come non riesce a svilupparsi nei suoi quasi sei minuti. Non rialza le quotazioni Dear Believer, piccolo pastiche con fiati e una melodia un po’ zoppicante che non riesce a fare breccia nel cuore, va meglio con la sofferta ballata alla Bonnie Prince Billy Child. One Way To Another indugia ancora troppo in cori tribali, ma con Fiya Wata siamo in pieno Jefferson Airplane sound, e solo con il finale di All Wash Out Ebert torna a dimostrare di poter essere anche un buon songwriter. Troppa carne al fuoco e non tutta di prima scelta, il freak-folk dei Edward Sharpe and the Magnetic Zeros incanta al primo ascolto ma nasconde troppa poca sostanza, laddove gruppi come gli Akron Family o gli Avett Brothers hanno già saputo costruire opere più personali e durature.
Nicola Gervasini

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