JOSH
KRAJCIK
BLINDLY,
LONELY, LOVELY
BMG
***
Dobbiamo armarci sempre di buona volontà nel non
avere pregiudizi quando si presenta un artista che negli Stati Uniti è noto soprattutto
come uno dei talentuosi partecipanti dell’edizione 2011 di X Factor. Bisogna
solo realizzare che forse oggi anche Smokey Robinson o Carole King sarebbero
costretti a passare nelle fauci del talent-show per emergere. E va detto che Josh Krajcik aveva già due album
all’attivo prima di diventare uno degli eroi della trasmissione, oltre ad una
lunga gavetta da new-soul singer sui palchi di mezza America. Se vi presentiamo
Blindly, Lonely, Lovely è dunque solo perché vorremmo
evidenziare come anche in questi tempi in cui le vie di mezzo sono rare
(pochissimi dischi prodotti da major generalmente fatti di spazzatura contro
una miriade sconfinata di dischi autoprodotti o di piccole eroiche etichette
che si fa a fatica a starci dietro), si può fare un prodotto di gusto, di
valore…e di alto grado di commerciabilità. Prodotto da un pool di mestieranti
della pop-music, capitanati dal veterano Steve
Kipner, l’uomo che si è inventato Olivia Newton-John più di trent’anni fa
insieme a molti successi della black-music anni settanta (oggi fa parte del
team di Christina Aguilera), Blindly,
Lonely, Lovely fa capire subito dove vuole andare a parare fin dalle
percussioni iniziali di Nothing, che sono le stesse di Inner City Blues
di Marvin Gaye. Ricetta già vista: un blue-eyed soul virato a pop moderno con
grandi secchiate di Philly-sound, una voce profonda ma capace di seguire
perfettamente le armonie per non uscire troppo dal seminato in caso di programmazioni radiofoniche. Ma
per fortuna anche brani con spina dorsale abbastanza solida per reggere il
tempo come Back Where We Belong e una produzione comunque attenta a non
sforare nel pacchiano anche quando si passa alla ballata romantica (No
Better Lovers). soul-ballad classiche (The Remedy) o acustiche (Close
Your Eyes) accompagnano l’ascolto senza scossoni ma con stile (solo Don’t
Make Me Hopeful forse scivola in arrangiamenti poppish un po’ troppo
scontati). Su tutto svetta la sua bella voce, figlia legittima della lezione di
Teddy Pendergrass e Lionel Richie. Non è
certo un disco fondamentale, ma sono pur sempre 35 minuti di buon soul-pop, oltretutto
tutti scritto di suo pugno (e quando sfiora atmosfere alla Terry Callier come
in One Thing She’ll Never Know qualche applauso lo strappa). Fossero
così tutti gli artisti sfoggiati dall’X-Factor nostrano saremmo anche più
felici…
Nicola Gervasini
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