giovedì 20 giugno 2013

THE STROKES

THE STROKES
COMEDOWN MACHINE
RCA
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Gira tanta musica diversa a New York, lo sappiamo bene tutti. Se persino il monolitico rock urbano di Lou Reed ogni tanto si è fatto prendere da qualche sapore alternativo, figuriamoci una band come gli Strokes, eterna promessa (non si capisce mai quanto poi mantenuta) del rock “alternativo ma con un occhio al mainstream” anni 2000. Fece rumore il loro If This It nel 2001, e lo fece nella maniera più semplice, con le chitarre di Albert Hammond, Jr. a inseguire le melodie “rock quasi punk ma a tutti gli effetti pop” del leader Julian Casablancas. Brani semplici, diretti, radiofonici, commerciabilissimi senza essere per forza commerciali, ma digeribili anche da palati più esigenti. Niente di speciale in verità, se non forse davvero il disco giusto piombato nel momento più stanco e incerto della storia rock. Da allora però gli Strokes, tra litigi e pause di riflessione, non hanno più ripetuto l’exploit, pubblicando tre album accolti sempre più o meno freddamente da critica e pubblico. Non è un caso che Comedown Machine esca subito a ridosso del precedente Angles , forse davvero l’episodio più debole della loro storia. Perché fin dalle prime note di Tap Out si capisce che la band è alla disperata ricerca di una svolta, il colpo a sorpresa, che poi troppo a sorpresa non è se è vero che certi suoni anni ottanta, di cui questi brani sono infarciti a dismisura, sono almeno due-tre anni che ce li stiamo ritrovando un po’ ovunque. Operazione recupero più che nostalgia, sempre per quella teoria che gli ottanta saranno stati un decennio spesso musicalmente detestabile in quanto a soluzioni produttive, ma pur probabilmente sempre uno dei periodo più vivi, variopinti e creativi della musica. La buona notizia arriva comunque sul lato scrittura, dove Casablancas pare almeno aver ritrovato il proprio savoir faire in termini di brani power-pop veloci e immediati, come dimostra l’iniziale Tap Out, Happy Ending o Slow Animals. Ma la voglia di amalgamare il synth-pop di un tempo con il loro sound porta a qualche esagerazione di troppo che sa di scivolone nel puro trash come One Way Trigger, Chances o il pasticcio ipnotico di 80's Comedown Machine, manifesto programmatico del nuovo corso. Il classico suono degli Strokes comunque non è morto, e vive in brani come All The Time, 50 50 o Partners in Crime, ma non basta ad elevare un disco che tiene aperte tutte le perplessità sulla tenuta in lungo periodo della band.  

Nicola Gervasini

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