THE
STROKES
COMEDOWN
MACHINE
RCA
**
Gira tanta musica diversa a New York, lo sappiamo
bene tutti. Se persino il monolitico rock urbano di Lou Reed ogni tanto si è
fatto prendere da qualche sapore alternativo, figuriamoci una band come gli Strokes, eterna promessa (non si
capisce mai quanto poi mantenuta) del rock “alternativo ma con un occhio al
mainstream” anni 2000. Fece rumore il loro If
This It nel 2001, e lo fece nella maniera più semplice, con le chitarre di Albert Hammond, Jr. a inseguire le
melodie “rock quasi punk ma a tutti gli effetti pop” del leader Julian Casablancas. Brani semplici, diretti,
radiofonici, commerciabilissimi senza essere per forza commerciali, ma
digeribili anche da palati più esigenti. Niente di speciale in verità, se non
forse davvero il disco giusto piombato nel momento più stanco e incerto della
storia rock. Da allora però gli Strokes, tra litigi e pause di riflessione, non
hanno più ripetuto l’exploit, pubblicando tre album accolti sempre più o meno freddamente
da critica e pubblico. Non è un caso che Comedown Machine esca subito a
ridosso del precedente Angles , forse
davvero l’episodio più debole della loro storia. Perché fin dalle prime note di
Tap Out si capisce che la band è alla
disperata ricerca di una svolta, il colpo a sorpresa, che poi troppo a sorpresa
non è se è vero che certi suoni anni ottanta, di cui questi brani sono
infarciti a dismisura, sono almeno due-tre anni che ce li stiamo ritrovando un
po’ ovunque. Operazione recupero più che nostalgia, sempre per quella teoria
che gli ottanta saranno stati un decennio spesso musicalmente detestabile in
quanto a soluzioni produttive, ma pur probabilmente sempre uno dei periodo più
vivi, variopinti e creativi della musica. La buona notizia arriva comunque sul
lato scrittura, dove Casablancas pare almeno aver ritrovato il proprio savoir faire in termini di brani
power-pop veloci e immediati, come dimostra l’iniziale Tap Out, Happy Ending o Slow Animals. Ma la voglia di amalgamare il
synth-pop di un tempo con il loro sound porta a qualche esagerazione di troppo che
sa di scivolone nel puro trash come One
Way Trigger, Chances o il
pasticcio ipnotico di 80's Comedown
Machine, manifesto programmatico del nuovo corso. Il classico suono degli
Strokes comunque non è morto, e vive in brani come All The Time, 50 50 o Partners in Crime, ma non basta ad elevare un
disco che tiene aperte tutte le perplessità sulla tenuta in lungo periodo della
band.
Nicola Gervasini
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