lunedì 19 ottobre 2020

GIANT SAND

 

 

 

Giant Sand
Ramp (Record Store Day Edition)

[Fire records 2020]

firerecords.com

 File Under: rock & dust

di Nicola Gervasini (11/06/2020)

Nelle interviste rilasciate all’epoca dell’uscita dell’album Ramp dei Giant Sand (era il 1991), il leader Howe Gelb ebbe a definire ironicamente i suoi collaboratori come “una jazz-band, ma senza il talento”, un po’ per giustificare lo scherzo strumentale di Jazz Sniper che apriva la seconda facciata, ma quasi più a voler sottolineare che il risultato era frutto di tanta improvvisazione. Ramp, album che esce in una nuova edizione ampliata per il Record Store Day del 28 giugno 2020, fu un disco spartiacque nella storia della band, fino a quel momento ancora legata ad un’idea di roots-rock anni Ottanta alla Green On Red (Neon Filler qui è ancora Dan Stuart-style al 100%) o Rain Parade. Il disco, infatti, omaggiava il rock americano più radiofonico, quasi un fratello di Huevos dei Meat Puppets nel provare a incastrare la lezione degli ZZTop nelle maglie di un suono da alternative-rock dei bassifondi (e qui Z.Z.Quicker arriva a citare direttamente la band di Billy Gibbons).

Se l’apertura di Warm Storm, con il suo "big drum sound" e le sue veementi chitarre da FM-rock è ancora legata al decennio precedente, lo stile da desert-rocker, che caratterizzerà il suono dei Giant Sand nei successivi anni Novanta (vi rimando alla recensione della ristampa di Glum del 1994 a tal proposito), comincia ad affiorare in episodi come Resolver (siamo già in zona Calexico, in grande anticipo) o nei country-rock più tradizionali come Seldom Matters o Nowhere, cominciando a far presagire il cambio di rotta operato con il successivo Center of The Universe del 1992. Altrove Romance of Falling, con le sue chitarre distorte, sembra un brano dei Dream Syndicate, con la voce della moglie di allora di Gelb, Paula Jean Brown (era una delle Go-Go’s di Belinda Carlise), in grande evidenza, mentre nella (s)ballata country Wonder interviene Victoria Williams. Il blues sbilenco di Anti.Shadow comincia invece a vedere il perfezionarsi del team ritmico formato da Joey Burns (che esordiva in formazione proprio in occasione di questo album) e John Convertino.

È anche l’album che fa entrare nel giro Giant Sand lo strambo cowboy Poppy Allen, personaggio di cui Gelb si innamorò talmente tanto da fargli cantare spesso un brano negli album che verranno (qui è Welcome To My World), e forse l’ultimo loro disco dove le chitarre suonano così fortemente in primo piano (a dare manforte c’erano anche Rainer Ptacek e Duane Jarvis). Interessante anche il secondo disco di bonus tracks (Mad Dog sessions), con un primo lato del vinile caratterizzato da tre lunghe jam che dimostrano sempre più come il cambio di rotta già scorreva nelle vene. E se Trickle Down System e lo spoken jazzato Bible Black, Book II tradiscono la loro natura di prova da studio rimasta allo stato grezzo, la bella Back To The Black And Grey non avrebbe stonato come finale del disco originale al posto dell’interlocutoria Patsy’s Blues. Chiudono gli inediti una interessante Still Too Far, una seconda versione lunga e rallentata “alla Neil Young” di Romance of Falling, e due brani (Can’t Find Love e Shadow To You) segnati da chitarre in presa diretta e in piena libertà, con totale assenza di post-produzione.

Non è forse il disco che più si ricorda dei Giant Sand questo Ramp, inesorabilmente legato al suono dell’epoca, e senza quel piglio avanguardistico che renderà l’opera di Gelb più attuale negli anni a venire, ma resta pur sempre un bel disco di un rock americano oggi un po’ in via d’estinzione.

Nessun commento:

BILL RYDER-JONES

  Bill Ryder-Jones Lechyd Da (Domino 2024) File Under:   Welsh Sound I Coral sono da più di vent’anni   una di quelle band che tutti...