mercoledì 19 novembre 2008

THE (INTERNATIONAL) NOISE CONSPIRACY - The Cross Of My Calling



Buscadero

Novembre 2008


VOTO: 7



Non sarà facile un giorno tracciare un resoconto equilibrato e definitivo dell’attività di produttore di Rick Rubin. Non sono poche le sue contraddizioni: lui è un uomo da rock alternativo, molto spesso estremo, ancor più spesso militante, come capita con i qui presenti (International) Noise Conspiracy, ma oggi è anche uno dei pochi uomini dello show-business in grado di smuovere masse e (soprattutto) capitali. Aggiungeteci poi che, grazie al suo amore per la canzone d’autore americana, Johnny Cash è morto con un pugno di capolavori in più nel taschino e Neil Diamond è finito di nuovo primo in classifica, e non stiamo ora a citare tutti i miracolati del suo inconfondibile acoustic-sound. Ironico però che a promuovere una band svedese che ha al suo attivo titoli eloquenti come Capitalism Stole My Virginity e elegge Phil Ochs come il proprio padre spirituale, sia proprio l’uomo che oggi è il presidente della Columbia Records,. Il vocalist della band Dennis Lyxzén è ben cosciente del paradosso, e sul sito della band sottolinea che proprio il fatto che Rubin li abbia insistentemente voluti produrre (nonostante il diktat della sua label fosse quello di abbassare i toni politici) è per loro motivo di orgoglio. The Cross Of My Calling è il quarto album degli (International) Noise Conspiracy, e arriva proprio dopo quell’ Armed love del 2004 che li proiettò in alto nelle charts proprio grazie al know-how di Rick. E diciamo subito che con loro Rubin sta forse riuscendo a realizzare quella sua idea di rock antico ma commerciabile che da qualche tempo faticava a ricreare, dopo che il miracolo fatto con i Red Hot Chili Peppers gli è sfuggito decisamente di mano dopo gli ultimi scipitissimi dischi della band, e dopo che altre produzioni mainstream come quelle per i Weezer non hanno portato risultati artistici memorabili. The Cross Of My Calling inizia con un lungo (quasi 9 minuti) ipnotico brano laconicamente intitolato Intro, splendida calata negli inferi della psichedelìa anni 60, con il basso ipnotico di Inge Johansson che vi farà impazzire con gli equalizzatori dello stereo per quanto vibra. E non poteva esserci introduzione migliore per un cd che spara in seguito altre 13 cartucce di 2-3 minuti che, quando vogliono, centrano il bersaglio senza pietà. Si fanno particolarmente notare la sconquassante Black September, punk-song ante-litteram alla MC5, o la stonianissima Satan Made The Deal (con tanto di ooh ooh alla Sympathy For The Devil), brani che solleticano le nostre voglie di sapori antichi. Ma è tutto il disco a rimbalzare come una pallina da biliardo nella storia del rock militante, se è vero che Washington Bullets sembra davvero una jam tra i Clash e l’Elvis Costello degli esordi o se I Am The Dynamite potrebbe essere la garage-pop-song dimenticata da Lenny Kaye nel compilare il cofanetto Nuggets. Il disco è stato registrato nei mitici Sunset Sound Studio di Hollywood, culla di tutti i dischi dei Doors, e neanche Dennis Lyxzén nasconde il fatto che se i tanti assoli di tastiera del disco (tutti più o meno azzeccati e pertinenti) sembrano gli esercizi di uno scolaretto che è appena stato a lezione dal Maestro Manzarek, è perché lo spirito di Morrison e soci aleggiava ancora negli studi di registrazione. E nella stessa The Cross Of My Calling, più che aleggiare, le porte della percezione si spalancano pesantemente sotto forma di una struttura alla Light My Fire, con assoli centrali e un organo che bacia sulla bocca il mitico solo di Riders On The Storm. Non che tutto sia sempre di altissimo livello, Hiroshima Mon Amour ad esempio è davvero insipida, Arm Yourself rimane un po’ in disparte, e anche Dustbins Of History non riesce a decollare più di tanto. Ma resta il fatto che il singolo The Assasination Of Myself è un piccola bomba che ricorda addirittura le prime cose del Joe Jackson pub-rocker, ovviamente con volumi ben più pompati. Se tutti i dischi destinati a dire qualcosa nelle classifiche internazionali fossero come questo, forse anche noi potremmo (a volte) accendere un canale di video musicali senza dover troppo soffrire. (Nicola Gervasini)

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