giovedì 15 aprile 2010

BEAT FARMERS - Tales Of The New West


Febbraio 2010
Rootshighway


C'erano una volta i Beat Farmers, "avanguardia" del cosidetto rock delle radici che fu…no no, fermate tutto, scusate, questo era l'incipit della recentissima recensione dell'album Fulmination dei Farmers, proprio quella in cui Fabio Cerbone piangeva sulle ceneri di una grande band che fu, che è ancora, ma che non è più quello che era o che potrebbe ancora essere. Invece sopra avete letto bene, qui i Farmers hanno ancora il Beat, e non sono quelli imbolsiti e privi di sprono creativo sentiti l'anno scorso, ma quelli che su queste pagine abbiamo già avuto modo di inserire tra i 100 dischi da Strade Blu degli anni 80. Tales of the New West è per noi da sempre un must have, perché è vero che se nel piccolo commento del nostro listone presentavamo questa musica come "nient'altro che buon vecchio rock'n'roll", ma è pur sempre vero che in queste canzoni scorrono storie che vale ancora la pena raccontare. Ci pensa dunque l'American Beat Records, etichetta specializzata in riesumazioni di cadaveri discografici del passato, a farci ripiombare in pieno 1985, all'apice del fervore della reaganomics e con il mondo della musica monopolizzato dalla guerra tra new romatics inglesi da una parte e i finti rockettari americani da radio FM dall'altra. In mezzo oggi sappiamo che c'era molto da scoprire, un tempo lo si definiva "underground" perché al di sopra si usava strillare talmente suoni, colori e capigliature cotonate che chi l'arte semplicemente la sussurrava, finiva inevitabilmente sottoterra.

E poi c'era il "west", o meglio, non c'era più da tempo a dire il vero, perché il preconcetto universale che voleva il country essere la musica ufficiale dei cowboy tutto lazo e speroni era decaduto da tempo, con Nashville in crisi d'identità, alla ricerca disperata di un suono che fosse sì country, ma che potesse andare bene anche ai nuovi yuppie danarosi e pronti ad acquistare a caro prezzo quel nuovo fantasmagorico oggetto che era il cd, e con Hollywood che aveva permesso negli anni 70 a grandi registi come Sam Peckinpah di distruggere e dissacrare un immaginario che lei stessa aveva creato. Per questo ancora oggi sosteniamo come più che corretta la parola "rivoluzionario" per un disco come
Tales Of The New West, perché l'Ovest raccontato in queste canzoni era davvero nuovo, costruito in quegli anni da pochi altri (i Rank & File e i Long Ryders sicuramente, tutti presenti anche qui in veste di ospiti, ma anche da quello scherzo - che poi tanto scherzo non fu - che furono i Knitters di Dave Alvin e John Doe), e ben rappresentato al cinema dall'improbabile cowboy circense Bronco Billy, personaggio creato da un sottovalutato Clint Eastwood (quando ancora non era creduto un grande regista) proprio per celebrare la definitiva de-mitizzazione del mito western (e massacrato a colpi di progresso dal visionario Michel Cimino dei Cancelli Del Cielo).

I Beat Farmers nascevano da questo spirito di umanizzazione del semidio dei pionieri banchi, ma furono i primi che in tutto questo morire ci trovarono aspetti comici, evidenziati fin dai caratteri usati per la copertina, degni di un film dell'orrore di serie B, dall'immagine che riesumava camicione a quadri di fogertiana memoria, e da un approcio a canzoni altrui che aveva sempre "quel non so che" di presa in giro, ma che finì in questo caso per rendere al mondo le migliori versioni di
Reason To Believe di Bruce Springsteen, There She Goes Again dei Velvet Undergound e Never Going Back di John Stewart. Ma il disco viveva anche di brillantissime composizioni originali, del chitarrista Buddy Blue le migliori (Lost Weekend,Goldmine e Lonesome Hound), dell'altro chitarrista e cantante Jerry Raney le più classiche (Showbiz eWhere Do They Go), di un amico di precedenti avventure musicali (Paul Kamanski) quella California Kid che scatenò (insieme ad un'altra cover, Happy Boy) il vocione del batterista Country Dick Montana, vero e proprio erede naturale non tanto dello scimmiottato Johnny Cash, ma del John Belushi intento a saccheggiare Rawhide nella scena al country-pub del film Blues Brothers (quella che forse meglio di tutte rappresenta quanto il cowboy fosse diventato una macchietta fumettistica). Nient'altro che buon vecchio rock and roll appunto, una rivoluzione iniziata ma mai conclusa però, con i successivi dischi che scivolarono sempre più verso un rock di grana grossa (più da camionisti che da cowboy), e le tragiche morti di Montana e Blue che rendono oggi impossibile al superstite Raney una credibilità sotto il nome dei Farmers. Edizione cd ben masterizzata ma senza le tante bonus tracks della precedente expanded edition della Rhino per tenere il prezzo basso, comprese le stringate note di copertina aggiunte dal curatore Gene Sculatti (storica penna di Rolling Stone). Si poteva fare di meglio, ma intanto, per chi non c'era, c'è da riascoltarsi un grandissimo e indimenticabile disco.
(Nicola Gervasini)

2 commenti:

Blue Bottazzi ha detto...

Ero impazzito per questo disco, la colonna sonora dei best days of my life...

Nicola Gervasini ha detto...

...UNO DEI DISCHI "ROOTS" PIU' DIVERTENTI DELLA STORIA......

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