mercoledì 12 gennaio 2011

RON WOOD - I Feel Like Playing


"Ho da fare il mio album solista" diceva Ron Wood nel 1974, e quel titolo del primo album sembrava quasi una triste resa piuttosto che un fiero urlo di battaglia. I Faces erano finiti, Jeff Beck era ormai su altre rotte musicali e lui per la prima volta si trovava da solo. Nonostante il successivo Now Look abbia venduto pure bene, oggi probabilmente non saremmo qui a parlare di lui se non avesse avuto il tocco giusto per intersecarsi con Keith Richards, l'aria meno da sfigato di Mick Taylor, e soprattutto nessuna voglia di togliere spazio sul palco a Mick Jagger. Non ha mai smesso di fare i suoi album, ora va al ritmo esatto di uno ogni 9 anni, e saremmo qui a copiare le parole spese per Slide On This del 1992 o Not For Beginners del 2001 (classe, grandi ospiti, ma mancano voce e canzoni) se non fosse che I Feel Like Playing racconta, per la prima volta, una storia diversa. C'è il know-how da veterano, ci sono i suoni giusti, ci sono i grandi musicisti (vecchi amici in genere, ma anche qualche nuovo compagno come Flea o uno Slash che sguazza felice nel suo brodo), ma soprattutto stavolta c'è una convinzione nei propri mezzi che non gli conoscevamo.

Vero che le cose migliori nascono da collaborazioni, come la Why You Wanna Go and Do a Thing Like That For, che apre il disco, una splendida outlaw-ballad scritta con Kris Kristofferson che già fa capire che forse i vari Wandering Spirit di Mick o Main Offender di Keith non resteranno gli unici episodi extra-Stones da consigliare anche ai fans meno accaniti. Ma piacciono anche la Lucky Man in cui ci ha messo la penna persino Eddie Vedder, o lo spettacolare duello di chitarre con Billy Gibbons degli ZZTop in Thing About You, funzionano alla grande i brani rock come I Don't Think So, la jam psichedelica di 100%, la bluesata Fancy Pants, tutti riff semplici come offre da sempre la casa (più Faces che Stones in questo caso), ma di quelli che fanno venir voglia di alzare il volume a palla e si fottano i vicini alla prossima riunione di condominio.

Dove forse il disco non decolla del tutto è quando tenta toni caraibici che non gli sono consoni, o perlomeno un reggae come Sweatness My Weakness l'amico Keith lo farebbe a pezzettini con più cattiveria, e altre cose come Tell Me Something o Catch You da sole non alimenterebbero il nostro entusiasmo. Il buon vecchio Ronnie non sarà forse un mostro di stile nella vita (negli ultimi tre anni tra matrimoni alla deriva e pestaggi di fidanzate ha rubato la scena del gossip persino al vecchio amico Rod Stewart), ma è capace di rifarti una usatissima Spoonful di Willie Dixon mettendoci pure del suo e del nuovo. Chiude il disco una splendida soul-ballad come Forever, in cui lascia volentieri il microfono all'amico Bobby Womack per riesumare un brano scritto 35 anni fa proprio per quel suo primo disco. Pare che ai tempi l'avesse reputata talmente bella da non volerla sprecare per il suo progetto senza troppo futuro, ma poi al momento di registrare Black And Blue (dove ci sarebbe stata benissimo tra l'altro), se la sia dimenticata, e questo la dice lunga su tutto.
(Nicola Gervasini)

www.ronniewood.com

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