mercoledì 25 maggio 2011

SLOAN - THE DOUBLE CROSS


Non raggiungono il culto dei Blue Rodeo o dei Tragically Hip, ma fin dal 1991 gli Sloan sono una specie di intoccabile istituzione in Canada. Come spesso succedeva in quegli anni fu proprio il sogno di sfondare negli Stati Uniti che spinse la band fondata da Chris Murphy e Andrew Scott a cercare e ottenere un remunerativo contratto con la Geffen che fruttò al loro album d’esordio (Smeared) un posto nella Billboard americana in piena grunge-invasion. Ma fu proprio la voglia di non confondersi con mondi lontani (non che Seattle sia poi così lontana dal Canada….) che spinse la band a imporre un secondo disco che la Geffen giudicò anti-commerciale e, per ripicca, pubblicò senza promozione. Spin ai tempi scherzò sul fatto nominando quel secondo album (Twice Removed) “Il miglior disco che non avete sentito del 1994”, ma da allora i quattro sono rimasti come tanti confinati nel rassicurante quanto limitato mondo canadese. The Double Cross è il decimo album di una storia all’insegna della coerenza e della stabilità (la formazione è oggi ancora quella degli inizi, fatto tutto sommato straordinario), nonostante le asprezze rumoriste degli esordi si siano ormai perse (qualcuno li descrisse come “i Sonic Youth che suonano i Beatles”), mentre si conferma la voglia di spaziare tra generi diversi a cavallo tra pop inglese (Follow The Leader, Beverly Terrace) e rock classico (la riffatissima Unkind), con punte persino nel sixty-sound (She’s Slowing Down Again e la spettacolare Traces) e nel garage-rock (It’s Plain To See). Una tavolozza variopinta che impedisce un po’ di dare una definizione precisa alla band e che forse i quattro pagano in termini di mancanza di personalità, visto che alla fine è difficile riconoscergli un marchio di fabbrica chiaro come quello ad esempio di band a loro molto simili come gli Spoon. In ogni caso tutti i brani riescono ad entrare bene nelle vesti cucite addosso con lavoro certosino, persino quando scelgono la via della folk-song acustica (Green Gardens, Cold Montreal, che piacerebbe molto a Bruce Cockburn), strani pastiche di Beach Boys e ritmi dance (Your Daddy Will Do) o purissimo power-pop (I’ve Gotta Know). In altre parole, un discreto bigino rock per tutti i gusti.

Nicola Gervasini

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