Social Distortion
Sono sulla breccia da più di trent’anni i Social Distortion, e mai come oggi la loro sigla così palesemente “punk” appare del tutto fuorviante visti i contenuti del loro ultimo album Hard Times and Nursery Rhymes (Epitaph). Secondo il vecchio detto che chi nasce incendiario muore pompiere, il loro sound selvaggio degli esordi si è via via trasformato in un quadrato rock and roll stradaiolo, che a qualcuno potrà sembrare persino stereotipato e mainstream. Nessuna distorsione sociale dunque in queste canzoni, ma anzi tanto reazionario amore per la tradizione americana, il parto scaturito da dosi massicce di Hank Williams e Johnny Cash, o del blue-collar rock alla Bruce Springsteen. Maestosi cori femminili, brani che superano i sei minuti, cambi di ritmo: dell’essenzialità del punk non è rimasto quasi nulla, se non fortunatamente le chitarre graffianti e l’urgenza di raccontare l’America contemporanea della nuova depressione. Se davvero – come dice Saviano - la vera rivoluzione di oggi consiste nel fare bene il proprio lavoro, è la qualità e non la rabbia che rende oggi Mike Ness e compagni una vera bomba contro questi “hard times”.
Nicola Gervasini
1 commento:
tanta roba!
Posta un commento