Siete avvertiti: sappiate che se doveste scoprire i Mountain Goats solo grazie a questo All Eternals Deck, potrebbe prospettarsi per voi l’inferno di recuperare vent’anni di onorata e copiosa carriera, se mai voleste approfondire la loro conoscenza. La creatura di John Darnielle è stata una delle prime sigle a potersi davvero fregiare della categoria di “indie band”, fin da quando nel 1991 hanno cominciato a pubblicare dischi a raffica, inizialmente esclusivamente nel vetusto formato audiocassetta. Da allora tenere il conto non è facile, ma con questo album dovrebbe essersi fermato a 20 album (comprese le 6 cassette pubblicate tra il 1991 e il 1994), 23 EP o singoli con inediti, e 3 cd di materiale di recupero. Un corpus imponente e difficilmente consigliabile nella sua totalità se non siete davvero in sintonia con il mondo visionario del particolare songwriting di Darnielle, uno che ha avuto fantasia e argomenti da vendere fin dagli esordi. La forma dei brani è sempre circolata intorno ad un folk scarno e poco avvezzo a concessioni spettacolari, con poche variazioni sul tema di base che rendono difficile anche per la stampa più avvezza al mondo indipendente isolare un loro titolo come il più importante (se dovessimo dare un consiglio, vi indirizzeremmo sul sempre attuale Tallahassee del 2002). I tempi stanno però evidentemente cambiando anche per loro, perché dopo tante rivoluzioni nella formazione intorno al genio sregolato di John, da qualche tempo hanno finalmente assunto un assetto pressoché fisso, e con questo All Eternals Deck definiscono per la prima volta un suono maturo e strutturato – per non dire “sovraprodotto” rispetto ai loro standard. E’ singolare come l’apparente “normalizzazione “ del loro sound abbia come risultato quello di evidenziare quanto gente come Okkervil River (Prowl Great Cain passa da quelle parti), Conor Oberst (Beautiful Gas Mask sembra sua) e non ultimi anche gli Avett Brothers debbano molto al loro approccio al suono rurale. Ma sono brani come Sourdoire Valley Song, una Outer Scorpion Squadron per piano e archi o la stessa Damn These Vampires che apre il disco, a mostrare una voglia di soffermarsi più su arrangiamenti e melodie che potrebbe far storcere il naso ai loro fans più irriducibili e legati alla loro storica naiveté, ma che servono forse anche a dimostrare quale potente songwriter di stampo classico si nasconda dietro un nome che è da sempre identificato come la frangia più estrema del freak-folk. Lasciamo a voi scoprire le storie dietro titoli intriganti e cinematografici come For Charles Bronson o Liza Forever Minelli, e in genere godere di testi che abbandonano in parte i temi religiosi delle loro ultime uscite per addentrarsi nei misteri dell’occulto, noi semplicemente consigliamo di scoprire un artista importante attraverso il suo disco più accessibile e immediato.
Nicola Gervasini
2 commenti:
[color=red][u]Widely regarded as a bad move!
Oh f**k... [/u][/color][url=http://toroch.info][color=red][u]RUN![/u][/color][/url][color=red][u] RUN! RUN! RUN!
[img]http://i.imgur.com/YIEao.gif[/img]
:-)[/u][/color]
;)
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