MARRY WATERSON E OLIVER KNIGHT
HIDDEN
One Little ndian/Self
***1/2
A chi si è
distratto e pensa che il brit-folk abbia esaurito le sue cartucce prima del
1975, ci sarebbe da far notare come gli anni duemila hanno visto regnare i suoi
schemi base, sia a livello indipendente che spesso di grande produzione. E che
oltretutto i confini del genere sono stati decisamente larghi, con gruppi statunitensi
come Vetiver, Midlake o gli Espers intenti a diffondere il verbo. Certo: oggi è
riveduto, corretto, rinnovato, ma anche sul terreno più “classic” le Unthanks
ad esempio hanno riscontrato successi e consensi insperati. Alla rinascita
dell’ala più oltranzista del genere partecipano sicuramente anche Marry Waterson e Oliver Knight,
fratelli (a dispetto del cognome diverso) e figli d’arte (i Watersons sono una
famiglia mito del brit-folk, soprattutto la vocalist Lil Waterson). Già notati
da molti con il disco d’esordio del 2011 The Days That Shaped Me, il duo
confeziona con Hidden un album che ha davvero tute le carte in regola per
piacere anche al di fuori dagli ambienti più reazionari del folk. Registrato
con l’aiuto di musicisti di settore (ma non solo, vista la presenza del
batterista Pete Flood dei Bellowhead e il polistrumentista Reuben Taylor degli
Athletes), Hidden ha un bel suono fresco e brillante nonostante le atmosfere
autunnali dei brani. Basta ascoltare l’iniziale I’m in a Mood , splendida folk-pop-song alla Aimee Mann,
l’indolenza freak di Going, Going, Gone
(non è quella di Dylan per la cronaca), il lavoro alla Richard Thompson
dell’elettrica di Oliver in Gormandizer.
Inizio scoppiettante che ben dispone anche per una parte centrale dove, calato
l’effetto sorpresa, si rientra nei ranghi della normalità con brani come I Won’t hear e Scarlet Starlet, prima di arrivare alle complicate e raffinate
trame piano-voci di Professional
Confessionals. Atmosfere fosche (Russian
Dolls) , spesso anche cupe (Sustained
Notes), ma anche una buona capacità di trovare la melodia ariosa fanno di
Hiddden una raccolta perfettamente equilibrata anche se timida (nascosta
appunta) nel suo non voler mai alzare i toni o provare il colpo spettacolare. Lo
sarebbe la finale Starveling, pezzo
davvero straordinario, ma come tutti i gran finali è riservato solo chi
possiede pazienza, sensibilità e una stanza di ascolto silenziosa per poter
apprezzare appieno questo album.
Nicola Gervasini
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