giovedì 11 ottobre 2012

Robert Plant & The Band Of Joy...o dell'invecchiare con dignità



 
 
 
Robert Plant & The Band Of Joy

Live From The Artists Den   
[Universal DVD & Bue Ray, 2012]

File Under: Roots music for retired people

di Nicola Gervasini (04/09/2012)

Non so l'uomo, ma posso tranquillamente asserire che Robert Plant è un artista intelligente. Piaccia o non piaccia, è uno dei pochi (troppo pochi) nomi del classic rock che ha saputo affrontare la propria età avanzata con la dignità che si richiede ad un uomo di sessantaquattro anni. Vero, sfoggia ancora la sua bionda (bianca?) chioma lungo-riccioluta, e continua a muoversi sul palco come un'odalisca, tanto che a vederlo sembra sempre che stia cantando Kashmir anche quando non sta cantando Kashmir. Ma lui perlomeno la lezione l'ha imparata nel 1997, quando con Jimmy Page ha dato alle stampe Walking into Clarksdale, concettualmente il più brutto e inutile disco della loro carriera, proprio perché pensato per quel pubblico che ancora oggi chiede loro di essere i Led Zeppelin, quando di fare il Led Zeppelin il buon Robert non aveva già più voce e energia da almeno dieci anni. E se l'amico Jimmy da allora non ha saputo più che farsene della sua arte, lui si è reinventato una carriera nel mondo dell'american music. I suoi anni duemila non hanno scritto nessuna storia che possa valere un solo urlo dell'era Zeppelin, ma se non altro ci ha portato nei lettori una serie di titoli cantati e suonati con innegabile gusto (Dreamland e Band of Joy finiscono per essere i titoli migliori della sua solo-career dopo il sottovalutato Fate Of Nations del 1994).

E così quando ci si appresta a visionare il DVD di Live From The Artists Den la prima reazione è una grassa risata quando ci si immagina il povero ignaro metallaro rimasto fermo ai tempi del patetico Manic Nirvana, che deve fare fatica a capire che quel brano zoppicante e sussurrato che apre la serata è nientemeno che Black Dog. Dove sono i riff, gli urli, i muri che cadono dopo due note? Relegati giustamente al mito. Oggi Plant è un signorotto che può permettersi una band a dir poco stellare, dove una primadonna come Patty Griffin si presta a fargli da corista in pelle nera e minigonna e due chitarristi che qualsiasi cantautore di Nashville sognerebbe di poter avere al proprio fianco come Buddy Miller e Darrell Scott si tengono in composta disparte. E non che la sezione ritmica formata da Byron House (basso) e Marco Giovino (uno che suona la batteria con le catene) sia da meno. In questa veste i brani dei Led rivivono di nuova luce, e se magari Tangerine era già nata tarata su questa lunghezza d'onda, Ramble On e Gallows Pole ritrovano invece tutta la loro essenza folk, mentre Houses Of The Holy se ne costruisce una nuova. Forse solo Rock and Roll fa rimpiangere i duelli tra la sua ugola che fu e il drumming del Bonham che non c'è più, per il resto brani vecchi e nuovi convivono alla perfezione, come se Angel Dance dei Los Lobos provenisse davvero dallo stesso disco di una Down To The Sea.

Doveroso lo spazio concesso alle tre co-star, con un Buddy Miller che riesuma una micidiale Somewhere Trouble Don't Go dal suo Cruel Moon del 1999, un Darrell Scott che da lezioni di stile con il traditional A Satisfied Mind e una Patty Griffin che diverte con la balzellante Move Up (era sull'ottimo Downtown Church). Video statico ed elegante come il padrone di casa, uno che ha capito in tempo quando avrebbe cominciato a far davvero ridere i polli a continuare ad essere QUEL Robert Plant. Uno che molti altri suoi coetanei dovrebbero imitare.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=yiokMaodFkw
     

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