EelsWonderful, Glorious [E Works/Vagrant 2013] www.eelstheband.com File Under: 100% E-sound di Nicola Gervasini (08/02/2013) |
Siccome ritengo impossibile odiare un personaggio come Mark Everett (per gli amici semplicemente E), finisce che i dischi dei suoi Eels o li si amano, oppure li si ignorano. Non sono pochi quelli che ultimamente hanno scelto la seconda strada, forti del fatto che l'uomo sembra essere entrato nella fase di carriera che potremmo definire "riassuntiva e pantagruelica". "Riassuntiva" perché dopo aver dato alle stampe la sua summa artistica nel 2005 (il monumentale doppio Blinking Lights and Other Revelations), la discografia degli Eels si è arricchita di lavori che semplicemente rielaboravano le puntate precedenti, non per questo perdendo troppo in valore. "Pantagruelica" perché tra il 2009 e il 2010 sono usciti ben 3 album (Hombre Lobo, End Times e Tomorrow Morning) che nelle intenzioni dell'autore si dovrebbero intendere come un'opera unitaria, ma che hanno sortito un leggero effetto-nausea su molti dei suoi fans della prima ora.
Si capisce così perché Wonderful, Glorious esce dopo più di due anni un po' in sordina, pronto però a riportare tutto a casa con tredici brani semplici e "veloci", potremmo dire anche di pronto ascolto. E soprattutto, sebbene il suo stile sia ben scolpito da tempo (e, se vogliamo, ormai "classico"), nel disco convivono sia l'anima da popper stralunato che fece amare dischi come Beautiful Freak (richiamato in episodi come l'ottima On the Ropes), sia certe svisate hard-rock "alla Souljacker" come Kinda Fuzzy, Peach Blossom o Stick Together, piene di riff da hard-blues che lo avvicinano sempre più ai Black Keys e sempre meno al mondo del cantautorato indie-rock. Piuttosto ormai il nostro si diverte a spaziare tra i generi, quasi volesse volutamente sfuggire alle etichette, per cui anche un brano come The Turnaroundparte come il pezzo che ti aspetti da un Bon Iver in crisi esistenziale, ma finisce con un crescendo quasi da soul-ballad, mentre il singolo New Alphabet gioca con una zoppicante ritmica quasi blues.
E anche una ballata come True Original, se spogliata da qualche tappeto elettronico, è a conti fatti una normalissima roots-ballad camuffata, così come You're My Friend, sotto la coperta di drum-machines ed effetti elettronici, risulta essere una semplicissima e deliziosa pop-song, mentre la trascinante title-track azzarda persino una ritmica disco-dance. Probabilmente qualcuno storcerà il naso davanti a tanto sfoggio di soluzioni mainstream, ma in Wonderful, Glorious Everett sembra semplicemente aver avuto voglia di realizzare un semplice disco rock/pop, dove anche certi risaputi giri chitarristici da classic-rock sono sempre sostenuti comunque da una scrittura di valore (Open My Present). Il merito qui sta nel non aver perso per strada il proprio marchio di fabbrica (I Am Building a Shrine è puro E-sound al 100%), e da un artista che festeggia il decimo album della sigla (non contando gli album solisti), sentirlo fare tesoro di tutta la sua grande esperienza è esattamente quanto di meglio ci si possa aspettare.
Si capisce così perché Wonderful, Glorious esce dopo più di due anni un po' in sordina, pronto però a riportare tutto a casa con tredici brani semplici e "veloci", potremmo dire anche di pronto ascolto. E soprattutto, sebbene il suo stile sia ben scolpito da tempo (e, se vogliamo, ormai "classico"), nel disco convivono sia l'anima da popper stralunato che fece amare dischi come Beautiful Freak (richiamato in episodi come l'ottima On the Ropes), sia certe svisate hard-rock "alla Souljacker" come Kinda Fuzzy, Peach Blossom o Stick Together, piene di riff da hard-blues che lo avvicinano sempre più ai Black Keys e sempre meno al mondo del cantautorato indie-rock. Piuttosto ormai il nostro si diverte a spaziare tra i generi, quasi volesse volutamente sfuggire alle etichette, per cui anche un brano come The Turnaroundparte come il pezzo che ti aspetti da un Bon Iver in crisi esistenziale, ma finisce con un crescendo quasi da soul-ballad, mentre il singolo New Alphabet gioca con una zoppicante ritmica quasi blues.
E anche una ballata come True Original, se spogliata da qualche tappeto elettronico, è a conti fatti una normalissima roots-ballad camuffata, così come You're My Friend, sotto la coperta di drum-machines ed effetti elettronici, risulta essere una semplicissima e deliziosa pop-song, mentre la trascinante title-track azzarda persino una ritmica disco-dance. Probabilmente qualcuno storcerà il naso davanti a tanto sfoggio di soluzioni mainstream, ma in Wonderful, Glorious Everett sembra semplicemente aver avuto voglia di realizzare un semplice disco rock/pop, dove anche certi risaputi giri chitarristici da classic-rock sono sempre sostenuti comunque da una scrittura di valore (Open My Present). Il merito qui sta nel non aver perso per strada il proprio marchio di fabbrica (I Am Building a Shrine è puro E-sound al 100%), e da un artista che festeggia il decimo album della sigla (non contando gli album solisti), sentirlo fare tesoro di tutta la sua grande esperienza è esattamente quanto di meglio ci si possa aspettare.
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