Lasciamo perdere le inutili considerazioni sull’ispirazione
che latita: a Bruce Springsteen non si chiede più un nuovo The River da anni, ma qui mi sa che bisogna ormai scordarsi anche
un nuovo The Rising. E andiamo oltre
il dilemma se High Hopes sia il nuovo album del Boss (nel qual caso uno dei
suoi peggiori) o solo una raccolta di B -
a volte anche C – sides (nel qual
caso il barile è stato raschiato con un certo successo). La vera questione è
un’altra: ma se proprio lo doveva fare (per doveri contrattuali immagino, anzi,
spero per lui), allora perché non approfittarne per dare un’inedita dignità al
progetto? Magari anche stramba, magari anche completamente sbagliata, ma unica.
Invece, così com’è, High Hopes pare solo un bonus
disc per una nuova deluxe edition
(l’uomo le adora…) dei suoi ultimi tre album. Sarebbe la chitarra di Tom
Morello la violenza che Bruce si è (e ci ha) concesso? Qualcuno lo avverta che
quei suoi gracchianti assoli erano rivoluzione vent’anni fa, ma oggi, piazzati un po’ a casaccio in mezzo a
pezzi che non lo richiedono (gli perdonerei la sbrodolata finale di The Ghost Of Tom Joad solo perché la versione è sentita e riuscita),
paiono davvero degli spari a salve. Allora perché non portare alle estreme
conseguenze la sua presenza? Oppure perché non andare ben oltre quel tocco di elettronica
buttato lì un po’ timidamente in Harry’s
Place? Perché sprecare un’occasione per un album che sarà sempre è solo un
dischetto da 6 politico, quando, osando un po’, poteva anche beccarsi un 8 di
spocchia o un 4 di sdegno. In ogni caso, un voto con più personalità.
Nicola Gervasini
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