giovedì 30 maggio 2019

JOE JACKSON - LIVE IN MILANO 2019


Joe Jackson

40 anni di carriera paiono tanti anche a Joe Jackson stesso, eppure il suo viso ormai scavato li racconta tutti. E ce li ha raccontati anche a Milano la sera del 22 marzo in un Teatro Dal Verme sold out (“e grazie anche per 40 anni di sold out” è appunto l’ultimo saluto che Joe rivolge al pubblico prima di andarsene), tempio milanese che si conferma come luogo ideale per i concerti sia per comodità che per l’acustica pressoché perfetta. Jackson non è certo uomo da lasciarsi andare a troppi sentimentalismi, ma per il tour che accompagna l’uscita di un disco complesso e per nulla consolatorio come Fool ha scelto di fare un excursus nel passato, con canzoni scelte in ogni decennio della sua carriera. Ovviamente con pesi diversi, se è vero che gli anni novanta, passati principalmente a cercare una sintesi tra pop e musica sinfonica (e non abbiamo mai capito se poi sia stato soddisfatto dei risultati ottenuti), finiscono relegati a due estratti dall’album Laughter and Lust del 1991 (la vivace Stranger Than Fiction e l’intensa piano-ballad Drowning), mentre i suoi primi anni finiscono a farla da padrone. Jackson si presenta con la band che ha suonato nell’ultimo album, con il fido Graham Maby al basso, il poliedrico chitarrista Teddy Kumpel e il funambolico Doug Yowell alla batteria (uno spettacolo nello spettacolo), e presenta uno show studiato al minimo dettaglio. I brani nuovi (Fool, Big Black Cloud, Fabulously Absolute e una Alchemy che apre e chiude lo show) reggono bene il confronto con i classici e questa è stata la sorpresa più gradita, ma la conferma che per lui il rock non è mai morto è sentire quanta forza ha ancora da spendere sui brani dell’era pub-rock come One More Time, Got The Time, Sunday Papers e l’immancabile Is She Really Going Out with Him? (tutte da Look Sharp del 1979) o I’M The Man. A parte una Real Men per la quale si inventa un inserto reggae/dub, le versioni sono tutto sommato fedeli agli originali, tanto che per il bis di Steppin’ Out è lo stesso Jackson a scherzarci su: "Sono famoso per stravolgere le mie canzoni dal vivo, perché è divertente, ma stavolta faremo un esperimento: rifaremo Steppin’Out esattamente come è sul disco, dove suonavo quasi tutto io.” E per farlo si è presentato con la drum machine originale usata allora, un Korg Rhythm 55 KR del 1979 che lui stesso ha definito un vero pezzo da museo. Peccato che nel revival generale si sia dimenticato di album importanti come Beat Crazy, Big World o Blaze Of Glory, toccando Body And Soul solo per la hit You Can’t Get What You Want (Till You Know What You Want), cercando di rappresentare anche la sua carriera recente ripescando Ode To Joy da Look Forward (2015) e Citizen Sane e Wasted Time da Rain (2006). Per quest’ultimo album Jackson dichiara che avrebbe voluto scrivere anche una title-track, ma non avendolo fatto, la ruba ai Beatles, eseguendo la loro Rain con grande fedeltà, così come decisamente rispettosa è la King Of The World degli Steely Dan offerta per ribadire quanto il duo Fagen-Becker siano i suoi autori preferiti. Sebbene fosse studiato in ogni suo arrangiamento e racconto, il concerto è parso caldo e sentito, a discapito della sua proverbiale ma immeritata fama di artista freddo e cervellotico. Non perdetelo se potete.

Nicola Gervasini

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