Buscadero
Novembre 2008
VOTO: 7,5
Prima ancora di parlare di questo interessante Stray Age, è bene fare due considerazioni. La prima è che non deve sorprendere più di tanto che il disco d’esordio di un brit-folker come Daniel Martin Moore esca per la Sub Pop: il fatto che l’etichetta di Seattle rimanga indissolubilmente legata al mondo e all’era grunge non deve far dimenticare che il suo catalogo ha già spesso deviato verso altri lidi insospettabili. E questo conferma, se ce ne era ancora bisogno, una linea editoriale che non bada tanto allo stile e al volume delle chitarre, quanto ad un atteggiamento di base, libero e indipendente, che l’etichetta sta riuscendo a conservare, nonostante i soldi e i successi piovuti su alcuni suoi prodotti. Il secondo aspetto per cui non sorprendersi più è che questo novello trovatore non venga dalle verdi terre britanniche, ma dalle rigogliose foreste del Kentucky, visto da qualche tempo negli Stati Uniti sta prendendo piede una scena di cultori del folk inglese che ha già partorito alcuni nomi significativi come gli Espers (e la loro cantante Meg Baird, autrice l’anno scorso di uno splendido disco intitolato Dear Companion) o i Vetiver, per arrivare a nomi già consolidati come Joanna Newsom o i Six Organs Of Admittance. Una scena che qualcuno ha definito “freak-folk”, ma sulle etichette qui c’è molto da stare attenti, perché Daniel Martin Moore suona una musica per nulla stramba o freakettona, ma al contrario esplora le possibilità del folk acustico britannico con lo stesso rigido rigore di un Christy Moore, sicuramente il nome a cui è più accostabile. I punti fermi di Stray Age sono presto detti: voce con cadenza indolente tipicamente british, chitarra acustica, la produzione pulita di Joe Chiccarelli (uomo nato come ingegnere del suono di Frank Zappa, ma produttore a noi caro per il lavoro svolto con Stan Ridgway e Steve Wynn) e qualche ospite a colorare i suoni con violini, viole, mandolini e corni francesi. La durata è giustamente contenuta, visto lo stile che pretende silenzio e attenzione, ma brani come The Old Measure o il bel giro di That’ll Be The Plan dimostrano l’intelligenza di Moore nel non affidarsi solo ai propri mezzi vocali, ma di aver pensato anche qualche trama complessa in sede di arrangiamento. Il tocco malinconico della stessa Stray Age, quello romantico di It’s You (con il bel violino di Petra Haden), la tradizione ferrea di In These Hearts, tutto concorre a creare il quadro di un disco che non cerca il nuovo, ma tenta di ribadire il vecchio in maniera fresca e con una penna che oggi ha qualcosa da dire in più dei consolidati leoni del genere. Ovvio poi che si potrebbe aprire una discussione sul senso di cimentarsi con un testo sacro e intoccabile come Who Knows Where The Time Goes, l’highlight vocale della divina Sandy Denny nel suo periodo con i Fairport Convention, e qui offerta in una versione maschile alla Nick Drake dove Moore se la cava più che egregiamente, anche se l’originale…(ecc, ecc, il resto del discorso lo sapete già). Moore si cimenta bene alla chitarra, ma in By Dream dimostra di saperci fare anche al pianoforte, offrendo una piano-song sognante e autunnale da brividi, aiutato dai fiati pesanti (tra cui un trombone) suonati da Lee Thornburg. Più dalle parti dei momenti più intimisti di un Richard Thompson è invece la soffice Where We Belong, mentre dopo un evocativo brano fatto solo di arpeggi e vocalizzi (Restoration Sketches), si chiude in tono piuttosto malinconico con Every Color And Kind e la splendida The Hour Of Sleep. Che l’Inghilterra dovesse aspettare l’ispirazione degli yankee per far tornare la propria canzone tradizionale a questi livelli suona un po’come una beffa, ma se in questo mondo globalizzato è possibile mangiare una buona pizza anche in Svezia, allora possiamo benissimo mettere Stray Age dell’americano Daniel Martin Moore in quello spazio sugli scaffali che ci è rimasto tra John Martyn e i Planxty. (Nicola Gervasini)
3 commenti:
Un disco meraviglioso.
il mio disco dell'anno, eccezionale per una prima uscita e grande maturità
il mio personale disco dell'anno.
maturità eccellente per essere al suo primo disco.
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