mercoledì 10 dicembre 2008

COLD WAR KIDS - Loyalty To Loyalty


Dicembre 2008
Buscadero


VOTO: 6,5


Usciti dal vorticoso giro del passaparola via-web che ha decretato il lento successo del loro primo disco (Robbers & Cowards), i californiani Cold War Kids si affacciano al mondo delle produzioni che contano con questo Loyalty To Loyalty con non poche variazioni rispetto al loro lavoro passato. Questi figli della guerra fredda sono stati apprezzati per il loro ibrido rock, che unisce una scrittura molto dylaniana (sia nella verve polemica dei testi che nell’attitudine a raccontare storie per immagini) con lo stile vocale declamatorio e stralunato del leader e pianista Nathan Willett, una sorta di figlio minore di Jack White. Il combo è completato dalla nervosa chitarra di Jonnie Russell (sicuramente uno dei manici più interessanti delle ultime generazioni per gusto ed essenzialità), dal basso pulsante di Matt Maust (sentitelo nel devastante singolo Something Is Not Right With Me) e dalla batteria, poco pestata ma molto nervosa, di Matt Aveiro. Prodotto ancora una volta dall’amico Kevin Augunas, Loyalty To Loyalty rimbalza come una pallina di ping-pong tra le voglie di essere una band spacca-chitarre, con brani che ricordano davvero i White Stripes più intransigenti, e il giusto sperimentalismo che si richiede ad una giovane band. I ragazzi giochicchiano con gli stili, con risultati non sempre esaltanti a dire il vero, come quando pasticciano con l’elettronica nella irrisolta Relief, brano che Willett interpreta in maniera fin troppo stridula. Lui si conferma comunque autore molto interessante, dimostrando di reggere bene la tensione anche quando si cimenta in operazioni old-style come la ballata pianistica che conclude il cd Cryptomnesia. Il disco inizia decisamente bene, Against Privacy è un pezzo ben studiato sia nel testo (velato di tagliente ironia), sia nel bellissimo intreccio tra una chitarra velvettiana, un organo psichedelico, e un drumming scazonte che regalano fin da subito forse il momento musicalmente più rilevante e riuscito. Fosse continuato con quella che sembra una versione al maschile dei mai dimenticati Mazzy Star, il disco avrebbe forse trovato miglior risoluzione, ma già con il seventies-sound di Mexican Dogs si comincia a respirare un po’ l’aria da outtakes di un disco dei Raconteurs, anche se la sei corde di Russell riesce comunque a elevare il livello generale. Willett rimane indeciso per tutto il disco se seguire stilemi da folk-rock amplificato (Every Valley Is Not A Lake è una sorta di Rainy Day Woman in chiave alternativa), giocare con i ritmi tribali di Welcome To The Occupation, gongolarsi sul pop-folk poco sobrio di Golden Gate Jumpers o adagiarsi sui toni minacciosi di Avalanche In B/. Ottima I’ve Seen Enough, uno di quei momenti in cui Willett trova il ritmo e l’ispirazione giusta per declamare un testo cupo e infastidito, così come convincono la psichedelìa da bassifondi di Every Man I Fall For e la sognante Dreams Old Men Dream, tutti brani che dimostrano come i Cold War Kids abbiano dalla loro la forza di saper produrre canzoni sopra la media e testi che analizzano in maniera acuta e disincantata la società americana e le sue contraddizioni. Ma rispetto al disco di esordio, se il songwriting sembra crescere in maniera incoraggiante, Loyalty To Loyalty mostra delle idee più confuse su dove dirigere il suono, con un risultato che spesso resta né carne né pesce tra canzone d’autore, rabbia da nuovo hard rock e velleità avanguardistiche più o meno nascoste. Un peccato tipico di tutte le opere seconde, il che dimostra ancora una volta come i Cold War Kids stiano viaggiando su quei binari giusti che potrebbero portare ad una duratura e proficua carriera, anche se le stazioni più importanti devono ancora arrivare. (Nicola Gervasini)

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