12/12/2008
Rootshighway
VOTO: 6
Ritroviamo volentieri la Possum Trot Orchestra, conosciuta su queste pagine più di un anno fa con il loro secondo disco Harbor Road. Incontrarli oggi è un po' come riscovare vecchie conoscenze dopo un periodo in cui si erano persi i contatti, vale a dire quel tipo di amici legati più ad una esperienza o ad un avvenimento di una giornata, che ad una vero e proprio legame cementato dal tempo e dai sentimenti. Harbor Road era stato questo: un passaggio all'interno delle nostre fitte programmazioni di un disco arioso e piacevole, ma nulla di più. Night Crow arriva puntuale a battere il chiodo, ma fallisce fin dal primo ascolto l'importante responsabilità di essere il disco decisivo per un salto di qualità che li faccia uscire dal circuito chiuso di una roots-music più che reazionaria. Peccato, perché qualche possibilità l'avevamo intravista, ma il duo di cantanti Susie Suraci e John Minton sembra accontentarsi di questo tran-tran di strimpellate bluegrass e reminiscenze da West Coast di un tempo, e il mix comincia davvero a sapere di vecchio e stantio. Soprattutto i due continuano a dividersi democraticamente il microfono, quando invece sarebbe forse il caso di insistere di più sulla voce di Susie, decisamente più accattivante e particolare del labile rantolo di Minton. E segni di scarse ambizioni affiorano anche nella scrittura delle canzoni, tutte già ampiamente note per stile e temi. Chiaro che Night Crow sconti rispetto al predecessore la mancanza dell'effetto sorpresa, perché poi ad un ascolto approfondito appare comunque disco di pari consistenza, se non addirittura superiore. Inoltre questi brani continuano ad essere il frutto di una conoscenza tecnica non indifferente, perché poi il running-folk di Magdalene, il blues addormentato di Night Crow Blues o le aperture melodiche di So Glad You Went Away continuano ad essere terreno fertile per ammirare il mandolino di Dave Kartholl o la fisarmonica suonata dallo stesso John Minton. Ma l'ingrediente forte rimane sempre la voce di Susie Suraci, capace di passare dalle tinte romantiche dei sei minuti da cartolina di Florence Nightingale ai toni secchi della divertente Boomers con buona maestria. Piacciono particolarmente la tragedia rurale di Joe, raccontata dalla Suraci con sufficiente pathos, e la più rassicurante scenetta famigliare di Out Of Bed, falliscono invece alcuni episodi davvero loffi come Lacey Belle o The St Joe Bridge. Probabilmente il limite maggiore della band sta cominciando ad essere proprio l'eccessivo intestardirsi su soluzioni acustiche, quando magari qualche innesto di suoni più energici potrebbe davvero ravvivare un menu che ordiniamo pure una seconda volta per pura abitudine, ben consci del fatto che il cuoco non ci farà nessuna sorpresa nel mescolare i sapori. (Nicola Gervasini)
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