sabato 11 luglio 2009

DAVE MATTHEWS BAND - Big Whiskey and the GrooGrux King


29/06/2009
Rootshighway
VOTO: 7
Lo avremo citato in mille occasioni, ma fatto sta che è la prima volta che questo sito si occupa direttamente di Dave Matthews. Un vero paradosso per uno dei nomi più importanti e osannati della musica americana degli ultimi 15 anni, regolarmente nella top 10 annuale dei tour più seguiti degli States, e uno dei pochi artisti "rock" a conquistare ancora le vette delle charts. Non è che siamo sbadati, ma semplicemente la produzione discografica della Dave Matthews Band aveva smesso da tempo di offrire spunti interessanti di discussione o argomenti che non fossero già stati detti in altre recensioni, complice l'indirizzo molto mainstream e radio-like delle loro registrazioni in studio, ormai troppo distanti dall'energia sprigionata sul palco. Big Whiskey and the GrooGrux King esce a quattro anni dal grande successo del debolissimo Stand Up, e finalmente ci regala la possibilità di riassaporare quella variopinta tavolozza che era il sound della DMB ai tempi d'oro dei loro ruggenti anni novanta. Più specificatamente questo disco sembra essere il seguito mai uscito di Before These Crowded Street, con cui condivide la grande varietà di stili e il ritorno della chitarra di Tim Reynolds, ormai quasi un membro fisso della band.

C'è come al solito da perdersi nella marea di materiale e idee profusa in questi dodici brani, prodotti da un buon professionista come Rob Cavallo (Green Day e Alanis Morrissette tra i suoi assistiti) . Si parte con Shake Me Like A Monkey, piccolo plagio di Word Up dei Cameo o semplice omaggio alla funky-music anni '80, si continua con Funny The Way It Is, tipica ballata nervosa alla Matthews che strappa già qualche applauso, e si va avanti con molto ritmo e qualche insolito riff particolarmente rock (Why I Am e Seven). Quello che è più apprezzabile del disco è l'evidente intento di Matthews di riuscire a far convivere la voglia di affermarsi come autore (Dive In o la dolce My Baby Blue vanno in quella direzione) e la necessità di tornare ad esaltare lo spirito da jam-band dei suoi comprimari (il divertente mezzo cajùn di Alligator Pie), anche se la prima componente alla fine risulta quella vincente e si traduce in alcune tra le migliori scritture del suo repertorio (la conclusiva You And Me o anche Lying In The Hands Of God).

Resta sempre la sensazione che voglia spesso fare troppo, che alcuni episodi come Squirm, brano che si risolve in un confuso e pomposo finale, non sappiano bene in che direzione andare, o che semplicemente a volte si scada un po' in quell'ordinario che aveva pericolosamente minato i dischi precedenti. Ma un brano come Time Bomb, che parte come una delle sue solite ballate acustiche, ma si traduce in un'indiavolata esplosione di rabbia, fa capire che l'artista è vivo e voglioso di tornare ad essere una mente creativa trainante, e non più uno stanco generatore di ovvietà da radio FM americana. Per ora ci può bastare anche solo questa buona notizia.
(Nicola Gervasini)

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