08/06/2009
Rootshighway
VOTO: 7,5
"Esagera l'essenziale e lascia l'ovvio nel vago". La frase è di Vincent Van Gogh, ma Jason Lytle se l'è scritta con un pennarello su un foglietto e appesa nel suo studio di registrazione in Montana. Una regola d'oro per ogni attimo della gestazione di questo suo primo album solista, disco assolutamente da non sbagliare, visto che il mondo del rock alternativo era pronto a fargli la pelle se non fosse valsa la pena di dismettere quell'oliato meccanismo indie che sono stati i suoi Grandaddy. Lytle risponde direttamente alle aspettative intitolando il disco Yours Truly, The Commuter (letteralmente "Sinceramente vostro, il pendolare"), come dire che si rende conto che la sua solitaria reclusione nello chalet di montagna mostrato nel libretto del cd è un viaggio che avrà un ritorno, esattamente come alla sera tornano a casa i pendolari dal lavoro, ma che comunque il trasloco gli era quanto mai necessario. Lytle qui esagera davvero l'essenziale, presenta dodici brani che fanno di fragilità virtù e li ammanta con suoni di sintetizzatori ed echi sintetici maestosi e teatrali, quasi da grandeur del progressive inglese di un tempo. Prima di poter citare i King Crimson dell'esordio bisognerebbe passare attraverso anni di esperienze di intimo folk sperimentale alla Sparklehorse, ma qui il gioco dei rimandi non funzionerebbe comunque, lo stile di Lytle è ormai talmente inconfondibile che fa si che la sua opera solista suoni ne più ne meno come un disco dei Grandaddy. Un paradosso non da poco per un disco che non nasconde affatto lo spettro della vecchia band neanche nei testi, risolvendosi in una sorta di concept sulla fine di un era e sulle incolmabili crepe nei rapporti che portano a qualsiasi tipo di rottura, un disagio evidente nelle splendide Brand New Sun, Rollin'Home Alone e I Am Lost (And the Moment Cannot Last), titoli che da soli bastano a rendere l'idea della desolazione umana in cui si naviga in queste note. Lytle è stato davvero bravo a rispettare anche la seconda parte del dogma vangoghiano, lasciando nel vago strutture ovvie come quelle di It's The Weekend, non definendo troppo piccoli e semplici valzer al piano come This Song Is The Mute Button o non scivolando troppo nell'atmosfera da salotto quando azzarda uno strumentale d'ambiente come Furget It. Prendete a simbolo del disco Ghost Of My Old Dog, un brano dedicato ai cagnolini avuti nella propria infanzia, persi nel tempo esattamente come la propria innocenza, lamento triste ma cadenzato da una base da alternative-rock d'altri tempi, con chitarre elettriche ipnotizzanti e ossessive, e quel suo canto/sussurro che suona quasi come le tante tastiere utilizzate nel disco. Lytle ha fatto tutto da solo nel suo rifugio di montagna, quasi a tentare il piccolo miracolo riuscito a Bon Iver in condizioni simili: forse Yours Truly, The Commuter farà meno rumore di For Emma, Forever Ago, ma sicuramente è stato in grado di toccare gli stessi bassifondi dell'anima con pari efficacia. (Nicola Gervasini)
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