giovedì 26 novembre 2009

VAGABOND OPERA - The Zeitgeist Beckons


Rootshighway
11/11/2009


Non ci proviamo nemmeno a catalogare questo The Zeitgeist Beckons, se non come un pasticcio folk tra operetta e musica balcanica, portato in giro per Stati Uniti ed Europa dai Vagabond Opera, band dal nome già di per sé esaustivo sulle loro peculiarità. Sono musicisti da strada, con batterie e percussioni di fortuna, contrabbassi consumati dall'asfalto e una divisa circense d'ordinanza per tutti i membri maschili, eccezion fatta per la primadonna Lesley Kernochan, guest-star che veste i variopinti panni della Diva. La Kernochan è artista attiva anche in proprio, con singolari album solo vocali (se ascoltate il suo Undulating del 2006 troverete quello che potrebbe essere un disco di Bobby McFerrin cantato da Bjork), mentre il leader Eric Stern è un fisarmonicista/pianista con voce tenorile innamorato della musica dell'est europeo, che non a caso si ritrova anche nei credits dell'ultima "operetta" dei Decemberists (The Hazards Of Love).

Proprio alla band di Colin Meloy si può ricondurre lo spirito di questo disco, che segue uno strampalato libretto da Grand Guignol (il plot è: nelle catacombe di Parigi uno scienziato pazzo fa rivivere una Golem femmina e…ecc..ecc..) per unire cover e originali apparentemente inconciliabili tra loro in ipotetici cinque atti (in verità sono solo tre, perché nel secondo "non succede nulla di interessante" per farci una canzone, mentre il quarto è "uguale al terzo, ma all'incontrario"). Trovateci pure echi di Goran Bregovic, dei Gogol Bordello, sicuramente del Tom Waits di Frank's Wild Years (anche se qui viene ri-stravolta Tango 'til They're Sore da Rain Dogs), altrimenti noi non siamo in grado di trovare paragoni nel mondo dell'opera romantica italiana quando a finire nel calderone sono nientemeno che Giuseppe Verdi (Welcome To The Opera! riprende la Traviata), la Fedora che Alberto Colautti scrisse per Umberto Giordano (cantata in italiano traballante in Chimaeras Be Met), il compositore russo Dmitrij Šostakovic (Russian Jazz Waltz), tradizionali bulgari (Bulgar Romani), e non poteva ovviamente mancare Jacques Brel (nel classico Amsterdam, un cavallo di battaglia anche del primo David Bowie).

Di tutto questo minestrone la cosa migliore resta la bella performance della Kernochan nella Milord che fu di Edith Piaf (che è anche un personaggio della sgangherata storia), mentre i brani scritti dai vari membri della band finiscono per essere divertenti, ma in ogni caso funzionali a tenere insieme il concept del disco. Il risultato è senza mezzi termini un bel casino di stili, che apprezzerete solo se siete in grado di by-passare lo shock di sentire classiche folk-song cantate con puro stile tenorile/operistico da Stern. Quello che è certo è che sullo stesso terreno abbiamo di recente sentito opere più personali (pensiamo ai francesi Moriarty ad esempio), o teatrini meno confusionari (ad esempio quello degli inglesi Last Man Standing).
(Nicola Gervasini)

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