domenica 23 maggio 2010

JEFFREY FOUCAULT & MARK ERELLI - Seven Curses


Il vantaggio di una webzine come la nostra è che abbiamo un archivio prontamente consultabile, una piccola garanzia di continuità quando c'è da tracciare il percorso di un artista che seguiamo assiduamente. E Jeffrey Foucault è sicuramente un nome che ci fa alzare le antenne da alcuni anni, più precisamente dal 2004 quando il suo terzo album Stripping Cane attirò la nostra attenzione anche se non ancora il nostro plauso pieno. Ma nel 2006 l'album Ghost Repeater figurava addirittura nella nostra top 10 di fine anno, con tanti complimenti e la constatazione di Gianfranco Callieri che "Foucault ha effettivamente osato di più, portando a compimento un'opera che sorpassa per intensità, carisma ed eccellente livello qualitativo qualsiasi titolo ascrivibile a quella categoria che per amor di semplificazione chiameremo contemporary folk". La citazione ci serve per chiederci cosa diavolo stia succedendo oggi al nostro Jeffrey, che sembra lontano dal voler dare un seguito a quel bellissimo disco (che oggi nuovamente vi consigliamo) e che anzi è entrato nella fastidiosa spirale dei prodotti "tampone" come i cover-album.

E passi farne uno come quello dello scorso anno, interamente dedicato al suo maestro di stile John Prine (Shoot The Moon Right Between The Eyes), dischetto talmente poco significativo nei risultati da indurci addirittura a non recensirlo neppure, ma quando poi il nostro insiste con questo
Seven Curses, collezione di murder-songs di svariata provenienza licenziato in coppia con l'amico Mark Erelli, allora proprio non possiamo più tacere. Oltretutto le registrazioni di questo disco interamente acustico non sono nuovissime, ma risalgono a qualche anno fa, ed è lecito sospettare che se sono state fatte uscire dal cassetto probabilmente non c'era nulla di meglio da pubblicare (volentieri attendiamo smentita al più presto per questa affermazione). E a non convincere è anche la scaletta, piena di brani celebri che vantano già riletture di ben altro calibro come Johnny 99 di Springsteen o Powderfinger di Young, per non parlare del traditional Pretty Polly, di quella stessa Louise di Paul Siebel che Willy DeVille ha fatto in tempo a lasciarci prima di abbandonare questo mondo, o della classica Sonora's Death Row che abbiamo sentito un paio d'anni fa anche da Dave Alvin.

Forse queste scelte sono un modo per rendere più appetibile o vendibile una raccolta di canzoni anche interessanti, fin dal bel ripescaggio di
Cole Durhew, storia di un padre di famiglia perfetto e timorato di Dio che finisce accusato di un'efferata catena di delitti, scritta da una grande penna di Nashville come quella di Tom House, oppure la mitica The First Mrs Jones del compianto Porter Wagoner, cronaca di un trucido uxoricidio. Da citare anche le belle versioni di Ellis Unit 1 di Steve Earle, Tom Merritt di Richard Buckner e la classica Philadelphia Lawyer di Woody Guthrie, tutte rese a due voci e due chitarre come da perfetto manuale folk. Bel compitino quindi, ora però vogliamo un'opera vera..
(Nicola Gervasini)

Rootshighway 05/05/2010


2 commenti:

Maurizio Pratelli ha detto...

e si che me ne avevano parlato bene, mah

Nicola Gervasini ha detto...

non è brutto....solo che di dischi così ne esistono 100.000 ormai, e questo ha poco di speciale rispetto ad altri....

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