DISTANCE, LIGHT & SKY
CASTING NETS
Glitterhouse
***
Chi scrive ha una ammirazione smisurata per Chris Eckman, sia come produttore, che
come autore e cantante. Sul suo glorioso passato con i Walkabouts (e anche
presente, visto l’ottimo livello dell’album Travels
in the Dustland del 2011), nulla da aggiungere, come anche sulle sue tante
produzioni nate negli ultimi 15 anni tra Praga e la Slovenia, dove ormai opera
stabilmente, ma forse è tempo di fare un piccolo discorso che sappia di “punto
della situazione” sui suoi tanti progetti. Ce ne dà l’occasione il primo album
di una sua ennesima nuova creatura discografica, i Distance, Light & Sky, nome che di fatto rappresenta lo stesso
Eckman e la vocalista olandese Chantal
Acda. E l’uso dell’aggettivo “ennesimo” potrebbe già far capire dove si
vuole andare a parare: Casting Nets infatti è l’ennesimo
(appunto) prodotto suggestivo e di atmosfera nato dai suoi studi, tutto retto
su brani elettro-acustici di atmosfera dark e notturna che giocano
sull’interscambio tra la voce cavernosa di Chris e quella dolce e eterea della
Acda, che qualcuno magari già conosce come solista e come voce della band
britannica Isbells. Il problema è che se i tanti side-project di Eckman, nel
bene e nel male, erano caratterizzati da un concetto di studio e
sperimentazione (si pensi agli esperimenti techno-afro dei dischi dei Dirtmusic
o a quelli di musica d’avanguardia dei L/O/S/T), Casting Nets appare come una semplice riproposizione del sound
Walkabouts (o forse, ancora più precisamente, ricorda i dischi usciti come
Chris & Carla), semplicemente con una attrice principale diversa. Nulla di
male quindi, i fans di Eckman ritroveranno in questi dieci brani tutti gli elementi
che si aspettano da un suo album, forse con uno spostamento di baricentro verso
folk e tradizione che ricorda quasi i
dischi di Mark Lanegan con Isobel Campbell. Strumentazione ridotta al minimo
(unico session-man presente oltre al duo è il percussionista Eric Thielemans),
qualche brano comunque degno di essere approfondito (Son, This Place), ma anche una sensazione di dejà vù e di una certa
stanchezza in termini di nuove brillanti idee da parte del padrone di casa. E
una nuova sigla che aumenta solo l’ormai ingestibile confusione della sua discografia.
In altre parole, un album più che discreto, ma che resterà un episodio minore
di una grande saga.
Nicola Gervasini
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