Anche per Joe Cocker, morto lo
scorso 21 dicembre, come per i tanti eroi del rock che ci hanno lasciati, il
mondo social si è mobilitato in una serie di post commemorativi. Singolare però
che il video più postato per ricordarlo, insieme alla storica esibizione di
Woodstock, sia stata la gag al Saturday Night Live del 1976, quando Joe accettò
di esibirsi al fianco di un John Belushi che ne sbeffeggiava le caricaturali
movenze. Se nel primo caso Cocker si creò una carriera prendendo a sberle il
popolo del Peace&Love con una With a Little Help from My Friends dei
Beatles che trasudava la guerra e la rabbia della low-class inglese (da giovane
era stato un semplice idraulico di Sheffield), nel secondo caso, prestandosi
alla propria presa in giro, Joe ammise implicitamente di recitare la parte del
tipico inglese tutto Pub e Soul di cui rimane indiscussa icona. Sarà per questo
atteggiarsi che non è mai stato troppo amato dalla critica rock, pronta a
riconoscere che il tour del 1970 che diede vita al suo capolavoro (il live Mad Dogs & Englishmen) resta uno
degli avvenimenti più esaltanti dell’epoca, ma magari dimentica di quanto anche
il New Orleans-oriented Luxury Can Afford del 1978 o lo strano
flirt con la new wave di Sheffield Steel
del 1982 andrebbero perlomeno riscoperti. Invece oggi stampa e pubblico lo
hanno ricordato soprattutto per come ha saputo dare voce all’immaginario degli
anni 80, e via quindi post della scena finale del melò militare Ufficiale E Gentiluomo o dell’inarrivabile
spogliarello di Kim Basinger in Nove
Settimane e Mezzo, mentre ben pochi hanno invece ricordato la commovente
scena di Carlito’s Way di De Palma
commentata dalla sua You Are So Beautiful. Non aveva particolari discorsi artistici da vantare
Cocker, se non quello di trasformare in ruggito canzoni altrui, lui così poco
abituato ad essere autore (ma la devastante High
Time We Went è farina del suo sacco), eppure lo ha saputo fare con gran
classe anche negli ultimi vent’anni, seppur con una produzione non sempre
all’altezza. Anche senza dover tirare in ballo il nostro Zucchero, che non ha
mai smesso di saccheggiarne movenze e partiture, il suo stile ha fatto scuola,
come anche la sua concezione tutta bianca della musica nera, pregna di una potenza
che resta la sua eredità più evidente.
Nicola Gervasini
Nessun commento:
Posta un commento