Vari
The Art Of McCartney
(Self,
2014)
File Under:
Things We said again and again…
Innanzitutto ci sarebbe da dire che i tribute-album hanno
anche stufato. Più che altro paiono un fenomeno che non accenna a diminuire da
anni, contro ogni previsione, come se il rock non trovasse niente di meglio che
celebrare se stesso. Ma questo è discorso già fatto. In più ora il fenomeno si
è allargato anche nella dimensione: vere e proprie maratone di cover come
questo The Art Of McCartney, dedicato ad un signor Macca che tra
l’altro è artista ancora vivo e attivo, e di certo non necessitava di ulteriori
celebrazioni (considerando le miriadi di Beatles-tribute già esistenti). Ma al
di là della sfiancante lunghezza del progetto, il problema è un altro: i
tribute-album sono ormai in gran parte delle semplici raccolte di compitini
svolti su commissione, in cui è ormai difficile trovare qualcuno che provi non
solo ad esserci, ma anche a rileggere, ripensare, reinterpretare la musica di
Sir Paul. Vale qui lo stesso discorso fatto a suo tempo per l’analogo
(fallimentare) tributo a Dylan promosso da Amnesty International: di cover dei
Beatles e di Dylan ne sono piene tutte le discografie del mondo, per cui al
massimo qui si potrebbe trovare interesse in qualche rilettura del catalogo
solista di McCartney che forse non è così inflazionato. Perché fin dalle
scolasticissime interpretazioni di Billy Joel che aprono i due cd (Maybe I’m Amazed e una fiacca Live And Let Die che fa rimpiangere
persino quella dei Guns N Roses) il clima è quello di imitare McCartney, e, nel
caso di Billy Joel, essendo la voce pure simile, l’effetto è da imitazione da
show televisivo del sabato sera. Persino il buon vecchio Bob Dylan tratta Things We Said Today esattamente come un
qualsiasi suo brano degli ultimi 15 anni, mancando (proprio lui) l’occasione
per un singolare e intrigante stravolgimento di uno dei pezzi più geniali dei
fab four. Per cui consolatevi pure con il fatto che nulla qui dentro sia da
buttare in assoluto, e che in fondo nessuno ci propina particolari nefandezze:
sono grandi canzoni rifatte da grandi (o più o meno grandi) artisti. Ma il
senso di comprarsi un simile tomo è solo quello collezionistico, perché davvero
nessuna di queste versioni appare necessaria, anche senza voler pretendere che
vadano oltre l’originale o versioni più note e storiche. Per cui ben venga
sentire il vecchio Dion alle prese con Drive
My Car, o i soliti Dr John e Allen Toussaint che da New Orleans svolgono un
egregio lavoro su Let Em In e Lady Madonna, o prendere atto che in
fondo le riletture più irriverenti e divertenti arrivino dal mondo dell’hard
rock, dove persino Kiss e Def Leppard riescono a fare una discreta figura
insieme ad altri giganti come Alice Cooper, Sammy Hagar o a vecchie rockstar
scafate come Roger Daltrey, Paul Rodgers e via dicendo. Ma il fatto è un altro:
già mi chiedo che senso avrebbe dare anche un secondo ascolto a questo album,
quando là fuori il mondo è pieno di nuovi album (o, se preferite, anche di
vecchi ancora da riscoprire) che sapranno darvi molto di più di questa
passerella di divi. McCartney è una
pietra miliare del rock e del pop: lo sapevamo già…per cui su, dai, smettiamola
di raccontarcelo ancora una volta, e, come si dice in Lombardia, tiremm innanz!
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